Recensione: Extinct
Nel funeral doom nulla si creato, tutto si distrugge. Questo concetto vale ancora di più se applicato in via metaforica al chieto vivere di ogni normale persona, i Frowning dal canto loro non aggiungo nulla di nuovo al panorama (chi si ostina a dire che nel funeral v’è progressione come sonorità alzi la mano o taccia per sempre), ma compiono benissimo il loro sporco dovere e ci assicurano una sana dose di morte dopo la vita assecondando al silenzio più profondo, quanta bellezza. Forte di un primo album quale “Funeral Imperessions” targato 2014, il mastermind e unico compositore Val Atra Niteris, torna sulle scene con questo nuovissimo “Extinct” che porta il suono del gruppo ad un livello successivo. Più denso, cupo e paradossalmente arioso sotto certi aspetti, il disco riesce nella grande sfida di surclassare il suo precedente fratello minore, regalandoci quello che probabilmente potrebbe essere una delle novità più belle in ambito funeral dell’intero 2017, Bell Witch permettendo.
Un progetto che poggia le sue basi compositive su quelle che sono le linee classiche e fondamentali del funeral d’annata, non vi sono ne sperimentazioni ne qualsivoglia mistero dietro ognuna delle cinque tracce, una tracklist scarna e dal mintaggio importante vista singolarmente, che vede al suo interno una “cover” di Chopin e la sua marcia funebre, quale conclusione di un cammino lento, fangoso e di pesante lettura. Già il titolo e la cover ci inducono a comprendere cosa si celi dietro questa one-man-band, che vive negli abissi del mondo e cerca la vastità del nulla attraverso composizioni lunghe, metaforicamente evocative, insite di quel bagaglio spirituale e meditativo che funge da porta d’ingresso ad un mondo parallelo. L’iniziale ‘Nocturnal Void’ con lo stacco parlato e l’incedere marziale prende alcuni spunti dalla Finlandia dei Thergothon, rivisitati in chiave “tedesca” ed eviscerati nel mondo di oggi; son solo spunti che prendono dal bagaglio classico del genere per portarlo ad una leggere rivisatazione personale. Nulla di transcendetale ed ecco perchè paradossalmmente questo potrebbe a tutti gli effetti diventare un classico dell’epoca moderna; fondamentalmente “Extinct” è impeccabile, perfetto e lento al punto giusto, tanto che il tempo stesso pare prendersi un permesso dalla sua corsa all’infinito per lasciarci deliziare e angosciare dentro le catacombe della mente umana. ‘Veiled in fog’ e la mastodontica ‘Buried Deep’ con i suoi venti minuti di intossicazione sonora, regalano la parentesi più cupa grazie perverse lacerazione entro il male del sorriso forzato, prendono il vintage aggiungendo una massiccia dose di decadentismo mai fine a se stesso, al limite della catarsi interiore. Certamente un plauso va forinto, come già accenntato, alla rivisitazione della marcia funebre di Chopin quale testamento delle volontà espresse ed inespresse di Val; l’omaggio ad uno dei più grandi compositori degli ultimi secoli diventa il manifesto, il simbolo di questa inquietudine interiore.
Un album che deve forzatamente essere assaggiato con la verve del caso, quando la notte ingloba il sole e una luce soffusa ci abbraccia delicatamente. Consigliato ad ogni amante del funeral, del doom e non solo, a chi crede che la violenza vera arrivi dal profondo piuttosto che dalle urla e dal finto e costruito chaos, un diamante grezzo da espolrare.