Recensione: Eyes Of The Oracle

Di Mauro Gelsomini - 9 Agosto 2002 - 0:00
Eyes Of The Oracle
Etichetta:
Genere:
Anno: 1998
Nazione:
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62

Windseeker:

Sarà forse colpa di un cattivo lavoro di promozione, ma credo che una band del genere faticherebbe ben poco ad entrare nelle videoteche di molti progsters. Il motivo è semplice: questi 4 americani sono tecnicamente preparatissimi e dimostrano di aver appreso molto bene la lezione dei mostri sacri (Dream Theater, Fates Warning, Queensryche).
Seppure all’esordio, i nostri già evidenziano una buona maturità compositiva, oltre che ad una impressionante facilità esecutiva: il disco consta infatti di sette pezzi (più due intro) della durata media di dieci minuti, con una punta di venti minuti, dalla struttura articolata e complessa. Risalta subito all’orecchio la buona prova di Chris Salinas alla voce, molto vicino al primo Geoff Tate sulle tonalità altissime (impossibile non notare quel modo di allungare gli acuti tipico del singer dei ‘Ryche), abbastanza su quelle basse, dove Tate è davvero inarrivabile, un po’ più standard sui medi (a tratti mi ha ricordato dei passaggi di Rob Tyrant). Un’ottima voce, anche se l’imitazione di Tate risulta davvero ardua…
Interessanti anche le prestazioni di Matt Williamson al basso e di Alex Arellano alla batteria. Il primo è autore di linee fresche e accattivanti, e si ritrova spesso in evidenza con le sue impressionanti scale, in frequenti intermezzi semi solistici. Il secondo riempie ogni spazio con un’asfissiante drumming strabordante di stoppate e ripartenze tipicamente jazz, come testimonia anche la sua predilezione per gli arti superiori, a tal punto da non rendere scomodo il paragone col Mark Zonder dei migliori Fates Warning.
Più classicheggianti, invece, i riff del chitarrista David Gallegos, tuttavia maggiormente occupato nel seguire le elucubrazione ritmiche di Alex e Matt, piuttosto che delineare una buona base melodica per il cantato di Chris.
In effetti il punto debole di quest’album sta proprio nella mancanza di passaggi anthemici e travolgenti, essendo così impregnato di tecnicismi a volte fini a se stessi, e risultando per questo non proprio ispiratissimo: alla lunga i pezzi risultano stancanti proprio per questa mancanza di enfasi e passionalità, e non è un caso se a volte i capaci strumentisti non sembrano amalgamati nel sound, lasciando addirittura la voce di Chris abbandonata ai suoi stranianti ripiegamenti, senza punti di riferimento.
Di sicuro non c’è, fortunatamente, quell’esasperazione del tecnicismo che renderebbe troppo freddo il lavoro, anzi alcuni spunti di classe non mancano: si ascolti a questo proposito la lunga suite “Test Of Wills”, elegante e sofisticata nell’arrangiamento, che si protrae con ottima scioltezza per tutta la sua durata.
In conclusione, mi sembra che le premesse per far bene ci siano tutte, e se la band deciderà in primis di dotarsi di un sound più personale e quindi di lavorare anche sul lato melodico, credo che ne sentiremo parlare molto più diffusamente…

Voto: 70

Onirica:

Non basta la tecnica a produrre un buon disco progressive, e questo disco non è un’eccezione ma conferma la regola. Mi dispiace perchè non si può dubitare di trovarsi di fronte a quattro musicisti di altissimo livello, che in tutto rispetto della tradizione prog hanno per lo meno tentato di dare vita ad un disco d’esordio che seguisse in qualche modo le orme dei grandi successi di Fates Warning e Queensryche da una parte, Dream Theater e SymphonyX dall’altra. Strutture compositive ingarbugliate, virtuosismi sulle corde di chitarra e basso, ritmiche sconvolte dalla relatività del tempo e potenza vocale: non manca niente di tutto ciò all’appello, l’unico assente sembra essere l’alunno più indisciplinato, quello con il voto in condotta più basso della classe. Niente di eccitante, non un minuto che mi spinga a riascoltare questo disco, tra l’altro prolisso quanto mai: passano oltre settanta lunghissimi minuti ma niente da fare, non ricevo nulla, non ricordo nulla. A cosa serve proporre tracce lunghe fino a 20 minuti se alla fine trasmettono meno di un tostapane in metallo? Se non è facile raggiungere abilità tecniche come quelle qui proposte, è altrettanto semplice mettere insieme nei migliore dei modi tanti pezzi scritti in momenti diversi, senza tentare di dare un senso finale all’opera risultante. Cosa tanto orrenda quanto fastidiosa, il brano lievita fino a bloccarsi per riprendere con un calo notevole di energia. Quella che nasce è una struttura pericolante, indecisa, che si perde nella sua tecnica sopraffina e svanisce quando sembra potenzialmente a due passi dalla fine del mondo.

Ho sentito parlare di questo disco come di progressive puro. Rispondo a questa obiezione: considerando che da trent’anni in campo prog non si è parlato di sola tecnica, ne deduco che, se con questo disco i Power Of Omens sono riusciti a proporre solo abilità di tipo esecutivo, abbiano al contrario ancora molto da lavorare sul loro rendimento artistico. Per adesso, posso solo considerare questo debut-album come un mero esercizio istruttivo per chi non trovi di meglio che mettersi alla prova.

Confido nell’imminente, seconda release di questo gruppo poichè potenzialmente potrebbe dare del filo da torcere a chiunque. Potenzialmente.

Voto: 55

Tracklist:

01 – Inner Voices
02 – Alone I Stand
03 – Word on a Line
04 – The Fall
05 – The Quest
06 – The Naked Mind
07 – Time
08 – Test of Wills
09 – Tears of the Wind

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