Recensione: F.O.A.D
Va bene. Anzi, non va bene per niente. I Darkthrone sono tornati, armati di spilloni e picchetti, e stavolta campeggeranno direttamente nel nostro stereo e accenderanno un fuocherello da campo nel nostro giardino. Risparmiando per ovvi motivi qualsivoglia introduzione alla band, che sarebbe solamente un insulto all’educazione musicale di chiunque si ritenga un seguace del Black Metal, direi di concentrarci immediatamente sull’ultima fatica della coppia di ex-devoti alla nera fiamma, oggi boy scout professionisti, di Kolbotn, Norvegia. Che “The Cult is Alive” fosse un disco per così dire speciale non è di certo una novità. Anzi, al tempo della sua uscita la novità c’era eccome, e l’intero popolo di metallo era rimasto in qualche modo frastornato, a metà tra il divertito e il dubbioso. La svolta “black ‘n’ roll” della band era risultata una ventata di originalità che richiese al tempo un “ripasso delle priorità” da parte di molti fan dell’antica scuola norvegese, senza tuttavia creare grosse fratture tra le compagini più estremiste: del resto, i più devoti considerano concluso il percorso dei Darkthrone a Panzerfaust, quindi il problema “svolta rock-punk” non si è mai realmente posto fin dal principio.
Parliamoci chiaro, il black norvegese è sempre stato prono a una certa autoironia, e questo è un postulato imprescindibile che bisogna tenere in mente quando ci si trova di fronte ad album come “The Cult is Alive” o questo stesso “F.O.A.D.”. Anche le band che per tradizione si sono sempre prese stramaledettamente sul serio hanno giocato sull’aspetto più grottesco del black metal e ne hanno esasperato le caratteristiche più misantropiche e demoniache, creando capolavori impareggiabili come l’involontariamente celeberrimo video di “Call of the Wintermoon” o il movimento-setta del invertitissimo Necrowizard con i suoi figliuol prodighi Impaled Northern Moonforest.
Visto sotto quest’aspetto, F.O.A.D. può avere una sua giustificazione, ma le domande rimangono molteplici: al di là della musica in sé, quanto è “vero” quest’album? Cos’ha distrutto, e cosa ha costruito? Il Black Metal non è solo musica, è anche anima e filosofia. Molti artisti hanno convogliato nelle loro canzoni culura popolare, messaggi politici, denunce sociali e disagi psicologici, e quando la musica diventa veicolo di idee è giusto che venga rispettata. I Darkthrone in qesto senso sono sempre stati una band abbastanza “superficiale”, anche se mi sento di dover escludere la parentesi Panzerfaustiana in quanto figlia di quel periodo altamente ispirato che ha generato, in contemporanea, Storm e Neptune Towers e per questo molto più significativa per l’universo black. Quindi di prettamente culturale c’è poco da distruggere: la band è stata sempre figlia di Fenriz e Nocturno Culto, e in quanto tale è sempre stata soggetta alle variazioni d’umore di uno o di entrambi gli artisti.
Ora, nessuno sa cosa sia preso alla Norvegia da 10 anni a questa parte; sta di fatto che quasi tutte le band storiche sono partite ognuna per i fatti propri, e forse stanche dell’etichetta satanista, alcune si sono date all’avantgarde più sperimentale e altre si sono date praticamente al rock ‘n’ roll, come per dimostrare che il black, senza basi ottantiane, non è niente. E così sono arrivati gli I di Abbath, un disco black malamente mascherato da disco dei Motorhead, e così è arrivato anche The Cult is Alive e poi quest’interlocutorio F.O.A.D.
Trovare la chiave di lettura di quest’ultima opera dei Darkthrone è complicato tanto quanto è complicato persino affrontare un album del genere. Immaginate semplicemente dei Motorhead con le chitarre di Under a Funeral Moon e la voce di Total Death. Chi già conosce il loro lavoro precedente saprà esattamente a cosa mi riferisco, mentre per tutti gli altri sarà un compito arduo immaginare un Nocturno Culto rockeggiante, mentre per quanto riguarda Fenriz ormai le sue intenzioni erano semi-chiare fin dai tempi degli oscuri Valhall, e i più feroci seguaci del poliedrico batterista staranno già ribaltando gli occhi, ritornando con il pensiero a uno dei side project più fastidiosi degli ultimi 20 anni.
Di carne al fuoco ce n’è tanta, e il libretto del CD, in formato “super” (alla Viides Luku – Hävitetty o alla Death Cult Armageddon prime edizioni, per intenderci), è prodigo di informazioni di tutti i tipi.
Si parte con “These Shores are Damned”, primo e lampante esempio dello sbandieratissimo NWOBHM – New Wave of Black Heavy Metal – in cui un Nocturno Culto dannatamente Bathoriano canta su una base ritmata che, a tutti gli effetti, non è altro che un amalgama di suoni black metal e melodie spudoratamente heavy metal, per poi proseguire con la già celebre Canadian Metal, flagship del singolo “NWOBHM” uscito qualche mese addietro, che funge un po’ da vera title track e che vuole semplicemente dimostrare quanto il metal canadese sia la cosa più “hot” del momento (mi sfuggiva, a dire il vero) e tanto per confondere un po’ di più le cose, è dedicata ai loro fan dell’America Centrale. “The Church of Real Metal” rallenta ancora di più i tempi fino a far tornare alla mente delle bizzarre commistioni tra atmosfere alla Burzum (provare per credere!) e melodie che spaziano tra i mostri sacri dell’epic di stile Manilla Road e Metal Church. La musica non cambia con “The Banners of Old”, quasi Venomiana, e non cambia nemmeno lungo tutte le tracce successive, anche se sarebbe bene soffermarsi sulla title track F.O.A.D., che praticamente si meriterebbe quasi una denuncia da parte di Lemmy e soci per l’incredibile… chiamiamolo… tributo.
A questo punto il concetto sembra abbastanza chiaro: Fenriz e Nocturno Culto si sono dati alla macchia, in tutti i sensi, e hanno composto quest’album mentre vagavano la scorsa estate per le riserve naturali della Norvegia meridionale. Quest’album sembra voler dire “I Darkthrone sono nostri e ci facciamo quello che ci pare, che vi piaccia o no”. Un sacrosanto diritto, ovviamente, che però si deve necessariamente scontrare con i fan di vecchia data, con quelli mediani e con quelli di nuovo pelo.
Non dico che quest’album è brutto, perché tecnicamente, almeno in parte, non lo è. Alcune canzoni non sono male, anzi diciamo che sono un diversivo interessante e in un certo senso inquietante. Alcune melodie sono particolarmente catchy, probabilmente perché derivate da un genere come l’heavy metal che è sicuramente di più facile digestione del black metal, ma il tutto ovviamente sa di profondamente artefatto.
La domanda quindi sorge spontanea: a chi è diretto questo F.O.A.D.? Qual è il target di quest’album? I black metaller di vecchio stampo non sono mai stati molto famosi per il loro senso dell’umorismo, e per loro questo disco sarà l’ennesimo chiodo sulla tomba dei Darkthrone. Gli Heavy metaller ovviamente non lo toccheranno nemmeno con un bastone di 40 metri per via delle sonorità del tutto aliene, e quindi probabilmente rimane una schiera di neo-metalheads che ancora non hanno un’identità (o un “colore”, per dirla alla Quorthoniana) e che quindi ascoltano queste nuove produzioni con mente fresca e recettiva. E poi c’è il distacco intellettuale di quei seguaci della nera fiamma che ormai ne hanno viste di tutti i colori, e che seguono il mondo del metal con occhio più critico che fanatico. Questi ultimi, insieme ai collezionisti, probabilmente troveranno in F.O.A.D. un esemplare da studiare e da godere quasi alla stregua di una raccolta di cover.
Personalmente ho apprezzato molto The Cult is Alive dal punto di vista prettamente goliardico, ma ora che la novità è stata assorbita non ho più molta voglia di ridere. Ho visto molte band black cambiare, e se penso che un cambiamento come quello da “Kronet til Konge” a “Supervillain Outcast” dei Dødheimsgard sia stato tanto rivoluzionario quanto sensato, questo passaggio dal black primordiale ispirato e storico a una presa in giro parodistica del black metal, manco fossero tornati una demo band di ragazzetti che vogliono farsi due risate, non riesco a mandarlo giù.
Preferisco continuare a pensare ai Darkthrone come pilastro nero del black metal piuttosto che a una band parodia di sé stessa. Per una questione quasi di rispetto, anzi, in quanto proprietari di una band che è diventata patrimonio della storia del metal scandinavo, avrei preferito che avessero protetto il nome Darkthrone prendendo “Hate Them” come ultimo atto e ricominciando da zero, con The Cult is Alive, con un nuovo nome e un nuovo capitolo della grande saga di Fenriz e Nocturno Culto.
O forse hanno paura che senza il nome Darkthrone sulla copertina qualcosa potrebbe andare storto? Comunque stiano le cose, sicuramente vivremo abbastanza per conoscere la risposta a questo annoso dilemma. Sperando che non sia “Fuck Off And Die”, ovviamente.
TRACKLIST:
1. «These Shores are Damned»
2. «Canadian Metal»
3. «The Church of Real Metal»
4. «The Banners of Old»
5. «Fuck Off and Die»
6. «Splitkein Fever»
7. «Raised on Rock»
8. «Pervertor of the 7 Gates»
9. «Wisdom of the Dead»