Recensione: Facing the Demon

Di Andrea Bacigalupo - 22 Settembre 2019 - 19:38
Facing the Demon
Band: Reternity
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2019
Nazione:
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72

Fronteggiare il demone che è dentro ciascuno di noi, sfuggire alle sue tentazioni, lottare per non fargli prendere il sopravvento: questo è il tema principe dell’album ‘Facing the Demon’, debutto discografico dei tedeschi Reternity, ben evidenziato nell’artwork della sua cover, dove una ragazza, armata di spada, affronta impavida il suo mostro, che un po’ assomiglia all’alien di Ridley Scott, con la testa di un diavolaccio.

Argomento dalle radici ataviche, ma quanto mai attuale, essendo oggi più d’uno i demoni che si devono sconfiggere per andare avanti nella nostra cosiddetta ‘società moderna’, molti dei quali di una concretezza e di un’efferatezza disarmante.

Torniamo ai Reternity, progetto nato nel 2018 dall’incontro di musicisti di varia estrazione ed esperienza. Il vocalist è Stefan Zörner che ha militato, principalmente, nei Lanfear (dal ’96 al ’99) e, ultimamente, negli Spitefuel (dal 2016 al 2018), i primi dediti ad un Prog-Power ed i secondi ad un Hard Rock / Heavy Metal.

Ad imbracciare sia la chitarra che il basso è Carsten Sauter, dedito ad un robusto Thrash Metal nei Pyroclasm e ad un Death carico di cupe atmosfere nei Mighty D. (nel 1994).

Una seconda chitarra è suonata da Semen Brick, che ha fatto esperienza sui palchi con la Power band Victorius.

Infine, dietro le pelli, siede Sascha Beul, batterista eclettico con conoscenze negli ambiti Folk (Remember Twilight), Metalcore (Crisis Never Minds) e Black/Death (Darkness Ablaze).

Facing the Demon’, somma del bagaglio culturale di questi quattro musicisti, è un album ibrido, ricco di sfumature e di sorprese. E’ un perno di Heavy Metal moderno e tecnico, velato da una cupezza di fondo, sul quale ruotano linee melodiche enfatiche, che possono essere tanto  iridescenti quanto strazianti, frammentate da elementi forti derivanti dalla determinazione del Power, dall’aggressività del Thrash e dalla sfacciataggine del Punk.

Una voce con una forte personalità, che sa essere aggressiva e sporca, quanto disperata, chitarre ritmiche rocciose e grevi durante le sezioni dure, ma passionali quando è la melodia ad essere protagonista, basso e batteria sempre sul pezzo. Questa è l’essenza di un gruppo che sa quello che vuole, che punta a stupire e  ad essere originale fin da subito. Poi le sbavature ci sono: più che originali i Reternity sanno fondere bene i vari generi che conoscono, rendendo i brani interessanti ed accattivanti, ma comunque con dentro poco di veramente nuovo (… non che non ci si possa accontentare … anzi!!!) e la produzione sembra un po’ frenarli: anche se si sente bene ogni strumento, il tutto è ben bilanciato e così via, resta assopito quel qualcosa di animalesco che avrebbe ulteriormente rafforzato l’opera; si riesce a percepire che c’è ma, a parere dello scrivente, non è stato esaltato a sufficienza.             

Tra i brani che compongono il platter citiamo ‘Strings of Sor 1: Sunset’, che introduce l’opera: le chitarre acustiche ed il gioco di spirali di luce che crea la tecnica con la quale vengono suonate crea subito una forte emozione, quella giusta per ascoltare il primo brano vero e proprio: ‘Last Days of War’ è una tirata aggressiva e pesante, una tempesta dentro la quale riecheggiano tuoni Power e balenano lampi Thrash.

Il brano si accoppia bene con il successivo ‘Tomorrow’s History’, dal ritmo stoppato e potente che affianca tratti aggressivi ad altri disperati.

Reternity II’ è un breve intermezzo che introduce, attraverso una narrazione scura e profonda, ‘I Love the Night’, breve ma incisiva, struggente ma dura, semplice ma efficace.

La successiva ‘Down. Not. Broken’ tira fuori un po’ della sfacciataggine Punk, con i suoi cori vecchio stampo e l’assolo vibrante energia allo stato liquido, mentre la title-track, ‘Facing the Demon’ esalta l’epicità power alla quale è legata la band.

Brani singolari sono ‘Suicide Butterflies’, pesante, arrabbiata ma anche melodica e progressiva, e ‘Stone to Mouth’, che si apre con una cantilena in lingua madre, interpretata dalla cantante tedesca Chantal Freier, per poi accelerare, prendere forza e ritrasformarsi nella filastrocca iniziale con un canto e controcanto molto struggente.

Dopo un’ultima sezione acustica da parte delle due asce l’album finisce con  ‘All Grey’, detta ‘canzone nascosta’ perché parte dopo qualche secondo di silenzio. E’ una traccia liberatoria e di sfogo dove vengono fuori il Punk, il Thrash ed il Power.

Un buon inizio quello dei Reternity. Ora speriamo che la squadra rimanga compatta e salda, che limi quelle poche sbavature che si riscontrano in ‘Facing the Demon’, ma che non lo pregiudicano, e che prosegua positivamente la sua storia per regalarci nuove emozioni.       

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