Recensione: Fair Warning

Di Abbadon - 18 Ottobre 2003 - 0:00
Fair Warning
Band: Van Halen
Etichetta:
Genere:
Anno: 1981
Nazione:
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80

Quarta fatica degli Statunitensi Van Halen, “Fair Warning” esce nel 1981 a seguito della gran bella figura fatta dal precedente album del combo, l’eccellente “Women and Children First”. Il disco, nonostante sia a posteri probabilmente uno dei lavori meno conosciuti e chiaccherati dei fratelli olandesi, non fa altro che confermare quanto di buono i Van Halen avevano mostrato nei 3 album precedenti, ovvero un Hard Rock senza fronzoli né compromessi, un Hard Rock votato soprattutto alle magie del suo chitarrista, il leader del gruppo Edward, sulla sua 6 corde, destinata a lasciare le sue esecuzioni nella storia e sui trattati di chitarra. Fair Warning si differenzia in parte dai suoi predecessori per quanto riguarda la sua composizione. Infatti questo lavoro, che ci si presenta con un artwork ove sono immortalate delle scene di violenza tratte dai più svariati ambienti, pur mantenendo la medesima energia dei lavori passati contiene delle interessanti evoluzioni e novità sul fronte della dinamica delle tracce. Abbiamo un deciso aumento dei mid-tempo, probabilmente la tipologia ritmica più diffusa sul prodotto, anche se non mancano le cavalcate e i pezzi veloci, soprattutto verso la fine del platter. Attenzione però! Chi pensa che a questo relativo ridursi di velocità corrisponda un corrispondente affievolirsi della tecnica e dello stile si sbaglia di grosso. Anzi credo di poter andare tranquillo dicendo che Fair sia il disco, o comunque uno dei dischi, dove la band dimostra che tecnicamente regge il confronto con qualunque altro paragone. Soprattutto Eddie io non credo di averlo mai sentito così ispirato in fase esecutiva, con delle sequenze strumentali, delle sfuriate e dei riffs che lasciano veramente a bocca aperta e con la bava che cola. Anche David Lee Roth ci dà del suo, e pur non mostrando eccessivi progressi come era abituato a fare tra un disco e l’altro, non delude le aspettative e firma una buonissima prova dietro il microfono. Michael Antony e Alex Van Halen, pur rimanendo nell’ombra rispetto ai due attori principali, svolgono il loro compito con perizia, e di certo non sfigurano lungo le nove tracce che compongono Fair.

Il Cd si apre subito sulle prime magie di lead guitar, magie che sotto forma di un assolo e un grande riff fungono da introduzione (in fade in) alla gran bella “Mean Street”. Il mid tempo si sviluppa lungo quasi 5 minuti dove, come già detto, domina un grande riff, decisamente azzeccato e seguito a ruota da tutti gli strumenti, batteria in primis. Bel refrain, dove le backing vocals la fanno da padrone. Grandissimi assoli, di categoria superiore, per la canzone che reputo il capolavoro del disco. Finito un mid tempo ed eccone un altro, questo non al livello di Mean Street ma comunque grande. “Dirty Movies” si apre su un ottimo gioco batteristico e su una chitarra molto melodica e pulita che si alternano a tratti più ruvidi e pirotecnici, ma della medesima classe. Il riff portante è più complicato e meno diretto del precedente, ma non lascia comunque indifferenti, tantomeno schifati. L’intonazione di Roth è perfetta e viene ancora una volta risaltata ed amplificata a dismisura nel ritornello, grazie all’ausilio delle splendide voci di fondo. Dopo due pezzi a velocità controllata, il combo trova sfogo nella velocissima “Sinner’s Swing!”, che a me ricorda molto, in alcuni tratti, la successiva e ben più famosa “Hot For Teacher”. Canzone breve ma veramente sparata, anche Sinner’s contiene delle sequenze di chitarra che sarebbero da mettere in una enciclopedia alla voce : “uso della 6 corde”. Stavolta un po’ meno ispirate le voci secondarie, ma poco male, perché il pezzo scorre via con grande piacere. Tremendamente melodico, quasi da favola, è l’attacco di “Hear About it Later”, che però diventa ben presto una traccia dalla velocità paragonabile a quella delle prime due, dotata forse di minori virtuosismi ma anche di un sound decisamente più potente e diretto, soprattutto nella solita guitar, stavolta dominante come nn mai, tanto da oscurare le sonorità di tutti gli altri strumenti. Roth per adeguarsi a questa gustosa strabordanza è obbligato ad usare una tonalità altissima di voce, cosa che gli riesce molto bene tra l’altro. Il refrain è un po’ scontato forse, ma è discreto, mentre le strofe a mio giudizio sono davvero ‘na bomba. Magico il pre-assolo, ove sound graffiato e pulito si fondono in un meraviglioso tutt’uno, e ottimo il solo, piuttosto controllato ma di effetto garantito. Nel complesso seconda miglior song della produzione dopo l’opener. Molto, molto coinvolgente anche “Unchained”. Questa volta la chitarra si sente ma agisce sullo sfondo, e sono batteria e basso a guidare la scena. Nonostante questo il risultato non cambia, e sempre su livelli altissimi rimaniamo. Un riconoscibilissimo basso apre con lentezza e con classe la sesta “Push Come to Show”. Manco a dirlo ancora abbiamo un mid tempo, ma stavolta inferiore come qualità a quelli precedenti. Come detto lo strumento che trascina è il basso, la chitarra accompagna e la batteria è quasi trascurabile, mentre è ottima la voce, che duetta perfettamente con lo strumento principale . Discreto e nulla più l’assolo, ma alcuni momenti sono tecnicamente notevoli, per quello che forse è l’anello debole della catena. Il livello torna ad essere alto con la frizzante “So This Is Love”. La batteria, trascurabile nella traccia precedente, torna a svolgere il suo ruolo di sempre, e la chitarra impazza, anche se senza strafare. Bello l’assolo per una bella canzone, che però alla lunga annoia un po’. E adesso… oscurità. Entrando nel mondo di “Sunday Afternoon in the Park” è come si ci trovassimo in una dimensione diversa da quella goliardica nella quale eravamo stati con le prime 7 tracks, sicuramente quella più sperimentale. Qui abbiamo un uso massiccio di distorsioni e synth, una delle prime volte in assoluto nella storia del Van Halen, distorsioni che contribuiscono a creare un’intro estremamente oscura, sicuramente spiazzante ma che colpisce e lascia il segno. Ho detto un intro… non ho sbagliato. Infatti “Sunday Afternoon in the Park” fa da apertura alla particolare e velocissima “One Foot Out the Door” che ci riporta parzialmente sui canonici binari del gruppo. Anche in questi due minuti scarsi, che tra l’altro chiudono in disco, vedono luce gli elementi caratterizzanti di Sunday, ma sono relegati a ruolo di accompagnamento di una fantastica chitarra che, velocissima e tagliente, ci regala un ultimo brivido prima di chiudere il sipario.

Fatto anche l’ascolto dell’album, possiamo dire che l’analisi dei fatti dimostra chiaramente un livello spettacolare a livello qualitativo nelle prime tracce, diciamo fino ad “Unchained”, per poi avere non un arresto, ma comunque un lieve calo compositivo e di mordente, recuperato poi grazie alla sorpresa delle canzoni finali. Che dire, per essere uno dei dischi meno venduti e chiaccherati (anche se siamo andati comunque oltre il milione di copie abbondanti vendute) di questa storica band, “Fair Warning” la sua gran figura la fa. Meritatamente.

Riccardo “Abbadon” Mezzera

Tracklist :

  1. Mean Street
  2. “Dirty Movies”
  3. Sinner’s Swing!
  4. Hear about it later
  5. Unchained
  6. Push comes to shove
  7. So This is Love?
  8. Sunday Afternoon in the Park
  9. One foot out the Door

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