Recensione: Fake

Di Giuseppe Casafina - 19 Dicembre 2019 - 17:00
Fake
Band: Cruentus
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2019
Nazione:
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75

Andando avanti negli anni, con il procedere delle tecnologie e dell’impoverimento della naturalezza di certe moderne registrazioni grazie all’evoluzione digitale, si stia sempre più perdendo il concetto naturale, di ‘Mazzate’.  La cara, sempiterna Vecchia Scuola però, ci offre una ulteriore possibilità anche oggi, alle soglie del 2020, di ricatturare quell’essenza di un tempo: l’attitudine, in casa Cruentus, è infatti quella dei tempi che furono, non tradendo in alcun modo le aspettative dei cari, vecchi e meno vecchi fanatici della Vecchia Scuola.

“Fake”, attesissimo ritorno discografico (sebbene per pochi, ma buoni) di uno che è a tutti gli effetti uno dei nomi storici della scena Death Metal tricolore e, se vogliamo, quello avvolto da maggior senso di mistero, ci riconsegna una band che, a distanza di ben 23 anni dal debutto del 1996, non ha affatto perso lo smalto dei bei tempi che furono. Un disco tanto atteso quanto vario, avvolto com’è da uno stile dinamico e travolgente, sì violento ma anche da ampi respiri riflessivi, come ad esempio le atmosfere arpeggiate e rarefatte di ‘The Strain’, brano conclusivo del disco che proprio nei suoi frangenti più eterei avvicina la band pugliese a certe cose in pieno stile ‘Depressive Black Metal’ (occhio alle virgolette però) senza tradir mai la grinta di base che la contraddistingue, tipica del Death Metal vecchia scuola a cui ha sempre fatto giuramento. Uno dei meriti di ciò è da attribuirsi, oltre al riffing serratissimo delle due ‘asce’ di Domenico Mele e Antonello Maggi, all’ugola sempre rabbiosa del vocalist Nicola Bavaro, vera marcia in più delle composizioni. 

Ma, sebbene per tale analisi abbia comunque deciso di partire dalla fine, parlando invece dell’inizio vero e proprio del disco ‘Circles’ ci offre il caratteristico riffing Thrash/Death carichissimo di influenze Groove che contraddistingue lo stile Cruentus, il quale spesso si apre a partiture più di ampio respiro, a cui fanno capolino dei decisi rallentamenti di tempo precisamente battuti da Valerio Di Masi il quale, assieme al basso di Adriano Boghetich (bassista della formazione originaria recentemente ritornato in seno alla band), costituisce una sezione ritmica invidiabile. Forse, personalmente in sede di produzione, avrei concesso maggiore spazio proprio a cassa e basso, per far sì che l’impatto ritmico risultasse ancora maggiore, ma qui si tratta di gusti. 

Il maggiore punto di forza di “Fake” è, ovviamente, una dinamicità delle singole composizioni che risulta sorprendente e che rende il disco all’ascolto decisamente non noioso: ora per via del songwriting, intrecciato il giusto senza mai risultare dispersivo (grazie al sapiente inserimento delle parti di voce sempre nei giusti momenti) grazie anche ad ottimi arrangiamenti, ora per merito di brani decisamente più anomali.

Ad una prima metà del disco decisamente più omogenea infatti, segue il trittico ‘anomalo’ rappresentato dalla punkeggiante ‘Shadows’ (la quale personalmente mi ha ricordato certe cose in tal senso degli svedesi Unleashed), la ritmatissima ‘Blindness Means Watching’ (quest’ultima contraddistinta anche da un testo decisamente sentito e sopra le righe) e la violentissima, al 100% Thrash nel suo incedere, ‘Step by Step’. In successione, le soffici note acustiche di ‘Timeless’ introducono la sopra citata ‘The Strain’, per poi lasciare spazio all’ultimo, finale intreccio atmosferico di ‘See You On the Top’ dove tra le ultime sfumature del dsico compare anche un assolo di tromba dai toni decisamente tristi.

Insomma, se di ritorno in grande stile doveva trattarsi, a conti fatti di ciò si è trattato e “Fake”, come già detto in apertura, si rivela un disco vero inciso da una band ispirata e autentica al 100%, al contrario del titolo che questo ritorno discografico si porta appresso. Questi ragazzi non hanno dimenticato la lezione dei cosiddetti ‘bei tempi andati’ e, invece che dar luce ad un vano senso di nostalgia, non hanno mai abbandonato la via del darsi mai per vinti, agendo senza dar mai spazio a polemiche. La musica mantiene giovani e sempre attuali e, appunto, qui si parla di musica.

La musica è reazione, la musica è agire: le chiacchiere lasciamole a certi inguaribili nostalgici senza via d’uscita.

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