Recensione: Fall In Love With The World
“Ehi ma, io questa voce la conosco. Aspetta che guardo i crediti… Porca… Sono gli Unitopia rifondati!”
Diciamolo pure, dopo il comunicato che segnalava lo scioglimento di quella fantastica band australiana, me n’ero fatto una ragione, e con me molti altri. Non ci sarebbero stati altri dischi come The Garden non avrebbe avuto seguito. Quindi immaginatevi la sorpresa nel vedere tre di quegli elementi infiltrati in questo nuovo progetto – Matt Williams alla sei corde, Dave Hopegood alla batteria e Mark Trueack, appunto, alla voce.
Ammettiamo pure che avevo pensato agli United Progressive Fraternity, dato il nome stesso, come ad un supergruppo destinato a dare alle stampe un disco estemporaneo. Quindi ascoltando Choices, prima traccia cantata di questo platter, sono caduto dal pero, tanto letteralmente quanto piacevolmente. Ignoranza e pregiudizio, unite all’impossibilità oggettiva di sapere tutto quello che accade nello sterminato universo del prog (siccome del metal) alle volte tornano utili.
Si è detto di tre ex membri degli Unitopia qui coinvolti. Completano la formazione nientemeno che Guy Manning e Dan Mash, rispettivamente basso e tastiera dei The Tangent; impreziosisce tutto la sezione fiati impersonata da Mark Arnold. Insomma ci sono le premesse per un disco strepitoso.
E credetemi, il disco è davvero strepitoso. Sonoramente ci troviamo innanzi ad un mix delle sonorità delle band qui elencate, con la caratteristica sezione tribale degli Unitopia, ma reinterpretata in maniera più elettrica, più tangenziale, per un sound decisamente più compatto, che ha il sapore un po’ di Peter Gabriel durante i suoi deliri da World Musician negli anni ottanta, con un po’ dei migliori Genesis della medesima decade.
Ne vien fuori un lavoro di rara ispirazione, con otto tracce che conquistano al volo (escludendo ovviamente la suite). È impossibile resistere ai toni soffusi, da serata autunnale, di At the end of the road. Stesso discorso per un altro highlight assoluto come Intersection. Più difficile si è detta la questione della suite, che parte semplice e leggera come le composizioni che l’hanno preceduta, ma concede lunghi intervalli strumentali, di sapore etnico – folkloristico, nella parte centrale, dove comunque si segnalano diversi virtuosismi al violino. Leggermente inferiori le due song conclusive, vale a dire la title-track Fall In Love With The World e Religion Of War. La prima che ricopre bene il ruolo di stacchetto semiacustico, senza però emozionare davvero. La seconda invece risulta viziata, a parer mio, da un testo eccessivamente permeato da utopie in stile Live Aid. A ciò si aggiunga il fatto che la pronuncia accademica di Trueack rende molto difficile la possibilità d’ignorare il testo. Un discorso simile potrebbe essere fatta per il singolo Water, solo che in questo caso, il risultato finale è talmente superlativo che è impossibile resistergli. Anche perché se a chi può permettersi sua maestà Jon Anderson alle backing vocals tutto riesce.
Insomma si capisce come Fall In Love With The World si candidi a disco prog dell’anno, a fianco di Kaleidoscope (Transatlantic) e The ocean at the End (The Tea Party). Un disco che conquista dal primo ascolto e risulta sostanzialment privo di punti deboli. A tal proposito, non resta che unico dubbio dopo l’ascolto di codesto maiuscolo saggio di progressive rock: viene infatti da chiedersi se, dati gli elementi coinvolti ed i loro molteplici impegni, il progetto United Progressive Fraternity si fregerà di ulteriori (ed ovviamente appassionanti) capitoli discografici. La speranza è ovvia. E finché c’è progressive c’è speranza!