Recensione: Fallen
La musica unisce i popoli, è proprio vero: a dare nuova conferma di questo grande potere che, da sempre, è insito nell’anima della musica, arrivano i “neonati” Archon Angel.
L’interessante nucleo di questa band, vede riuniti musicisti illustri come: il batterista Marco Lazzarini (Secret Sphere ed ex Overtures), il chitarrista Aldo Lonobile (Death SS, Edge Of Forever ed ex turnista per gli Elvenking fra gli altri) e il bassista francese Yves Campion, il quale arriva direttamente dagli storici Nightmare.
Basterebbero questi nomi per presentare il livello qualitativo generale di questo esordio esplosivo, ma, la vera ciliegina sulla torta, è rappresentata dall’inconfondibile voce del bravissimo Zachary “Zak” Stevens, noto per la sua attività con i Savatage, tra il 1993 ed il 1998.
Una Line up dunque di prim’ordine, si diverte ad allestire un album roccioso ed ispirato che, molto semplicemente, risponde al potente titolo di “Fallen”.
La preziosa presenza di Stevens al microfono dona al disco una squisita teatralità, inevitabilmente ereditata dai Savatage, la quale domina da subito la plumbea atmosfera dell’iniziale “Fallen”: la title track volge un fiero sguardo d’ammirazione a capolavori immortali come “Edgle Of Thorns” e “Chance”, recuperandone l’anima melodica e squisitamente armonica, perfettamente epressa nel riuscito ritornello, interpretato con grande pathos dal vocalist americano. Un inizio al fulmicotone.
L’ombra degli ultimi Savatage è ancora presente nell’essenza della seguente “The Serpent”, che, proprio come la coda di un serpente, in modo gelido e spietato, stringe l’ascoltatore in una morsa ipnotica e potente, la quale concede un po’ di respiro solo nell’evocativo refrain, orecchiabile e d’impatto.
Le sontuose orchestrazioni ascoltate nei brani precedenti, cedono ora il passo alla chitarra di Lonobile nella veloce “Rise”: il chitarrista italiano è abile nel creare un massiccio muro sonoro su cui la voce di Stevens si dimostra ancora una volta a proprio agio, interpretando un ritornello nuovamente ricco di adrenalina pur senza tralasciare l’immancabile componente melodica.
Tastiere e chitarre continuano a coesistere nell’anima della bella “Under The Spell”, seguita poi a ruota dalla mistica e sinfonica “Twilight”.
Il songwriting del gruppo è parecchio solido e non conosce cedimenti di creatività neppure nella dinamica “Faces Of Innocence”, ancora in perfetto equilibrio fra potenza e melodia.
Una sezione ritmica precisa e tagliente è la principale spina dorsale di un disco che prosegue ancora ad alti livelli con la spietata “Hit The Wall”, la quale ritrova nuovamente lo spirito più Heavy del gruppo dei fratelli Jon e Criss Oliva.
Un piglio si potente ma anche molto orecchiabile anima la piacevole “Who’s In The Mirror”, alla quale segue poi la dolce ed intensa “Brought To The Edge”, interamente dominata dalla classe vocale di Stevens. Accompagna in modo impeccabile la sei corde (acustica) del bravo Lonobile ed un delicato tappeto tastieristico, indicato nell’accentuare la carica emotiva che pervade l’intero brano.
Dopo questo gradito momento di romanticismo in musica, con la lunga “Return Of The Storm”, gli Archon Angel tornano alle canoniche atmosfere teatrali ascoltate in apertura: un nuovo (e dichiaratamente) ultimo omaggio ai Savatage, confeziona un notevole epilogo che affonda le radici direttamente nell’immortale anima di classici come “When The Crowds Are Gone” e la già menzionata “Chance”.
Una scelta che, oltre a dimostrare l’ottima qualità di questo primo album allestito dagli Archon Angel, palesa anche quanto sia stato fondamentale il contributo dei Savatage nel panorama Rock degli ultimi trent’anni, suggerendo quanto, a tutt’oggi, siano ancora impossibili da dimenticare.