Recensione: Fallen Angel
Nota : La casa discografica è quella dell’edizione rimasterizzata uscita nel 1997, non so se la casa originale fosse la medesima. Scuse in anticipo
Rilasciato originaramente nel luglio del 1978, Fallen Angel è il dodicesimo studio album degli Uriah Heep, una delle band più prolifiche in materia di dischi realizzati ma anche una delle meno seguite ed apprezzate sulla scena tra quelle che, viste oggi, vengono considerate mostri sacri del panorama hard rock degli anni ’70. A dire il vero le cose per il gruppo andavano meglio che agli esordi, e tale successo andava in parte attribuito a un singolo, “Free Me” il titolo, tratto dall’album precedente a questo, ovvero “Innocent Victim”. Il successo di tale singolo ispirò la band, alla ricerca (giustamente) di maggior considerazione, a sviluppare “Fallen Angel” sulla scia dello stesso Free Me, dividendo la critica letteralmente a metà, vista la totale diversità di questo prodotto rispetto ai primi album del quintetto. Ci fu infatti chi abbracciò con gioia questo nuovo corso “di più larghe vedute” del combo, il quale nuovo prodotto era volto ad una fascia di pubblico nettamente maggiore, mentre erano anche presenti molte persone, nella fattispecie i fan più vecchi, che deprezzarono il nuovo stile degli Uriah, troppo commerciale e “soft rock” per un gruppo che aveva abituato a ben altro. Il risultato di queste diatribe fu un buon successo di critica, ma vendite solo moderate. Il disco in effetti è molto lineare ed equilibrato (“Pieno di singoli da Hit”, disse un giornalista dell’epoca) e le 10 canzoni che lo compongono sono tutte piuttosto omogenee nella loro struttura, che come già anticipato si rifà a quella di “Free Me”. Il sound di tali canzoni è leggero, senza particolari esagerazioni dei vari strumenti, l’esecuzione è eccellente e l’atmosfera che traspare è piuttosto allegra e morbida, con un vago sapore AOR, genere che sarebbe esploso di lì a pochissimo, ma al quale questo album assomiglia per sensazioni trasmesse.
Fallen Angel viene aperto dalla discreta “Woman of the Night”, song molto rapida introdotta da una frizzante chitarra di un buonissimo Mick Box, che si sovrappone alle tastiere di Ken Hensley. Buon lavoro di un udibilissimo basso per questa track come detto molto godibile, ma che agli “aficionados” lascia probabilmente un bel po’ di amaro in bocca. Medesima apertura rapida, questa volta lasciata al basso, per “Falling in Love”. I canoni di Falling sono i medesimi di “Woman…”, ma a mio avviso si ha una minore ispirazione complessiva (la tremenda linearità della track alla lunga potrebbe annoiare). Da segnalare però una prestazione più che convincente del “nuovo” vocalist John Lawton, ormai al suo terzo full lenght con gli Uriah Heep. Migliorano le cose con “One more night”, traccia solo leggermente più lenta delle precedenti, ma più varia nella sua composizione (intendiamoci non ci sono clamorose improvvisazioni o chissà che cosa, ma sicuramente un passo avanti rispetto ai precedenti pezzi). Molto orecchiabile e ballabile soprattutto il tratto centrale, ben accompagnato dalle backing vocals. Dobbiamo aspettare “Put Your Lovin’ on Me” per gustarci la prima track lenta della produzione. Il ritmo viene scandito da un ottimo basso, sullo sfondo del quale si sviluppa un discreto arpeggio. La traccia si vivacizza decisamente verso la metà del suo scorrere, a seguito del primo vero assolo (anche se breve) chitarristico degno di nota, per poi tornare, dopo un po’, lenta e forse un poco più pacchiana. Veramente molto, molto bella l’intro della quinta “Come back to me”, intro carica di emozioni e sentimento che lascia spazio ad un ispiratissimo Lawson, che canta davvero bene, tanto da far vedere le backing vocals quasi come un fastidio (almeno per chi scrive). Gli strumenti, che si producono in un eccellente lento, decisamente migliore del precedente, seguono alla perfezione la voce principale in questa romanticissima cavalcata, esaltata alla fine prima dalle keyboards, poi dalla chitarra elettrica, che a turno la fanno da padroni. Alla tastiera è votato pure l’inizio di “Whad’ya Say”, inizio che ci porta però in un mondo a parte, ovvero quello della song sicuramente più particolare del lotto. Molto futuristica nelle sue note, “Whad’ya Say” lascerà sicuramente di sasso molti ascoltatori, e non saprei come descriverla. Vista nel contesto musicale degli anni 80 sarebbe diventata quasi certamente una hit, ma non di Hard Rock, bensì diciamo di “Pop di classe”, e la cosa, conoscendo gli Heep classici, mi lascia piuttosto basito. Intendiamoci, a me questo brano piace, è ad esempio sicuramente più imprevedibile delle prime due tracce , ma… non sono gli Uriah Heep, permettetemi di dirlo. Quindi ascoltate e traete voi le vostre conclusioni, qualunque esse siano. E dopo questa “sorpresa” veniamo catapultati a “Save Me”, che nei primissimi istanti appare come un mid tempo molto quadrato, ma che poi diventa l’ennesimo pezzo veloce, colmo di allegria, quasi fatto apposta per le piste da ballo. Discreti i cambi di tempo all’interno della song, ma niente di paradossale. “Love of Nothing”, “Come back to me” a parte, mi pare la canzone decisamente più riuscita e coinvolgente dell’album, quella che forse (e qui bestemmio) più ricorda i primi Uriah Heep. Sarà per la chitarra acustica, che si produce in un ottimo motivo, trainante ed incalzante, dal sapore più retrò rispetto alle altre tracks, sarà per l’ottimo e sapiente utilizzo delle voci di fondo, ma questa “Love of Nothing” risulta la canzone a me decisamente più gradita dell’intero LP. Certo rimane la voglia di far divertire la gente che ascolta, ma fossero state tutte così le creature di “Fallen Angel”, questo sarebbe stato un grandissimo disco, e non quello che per me è. Bella anche la penultima “I’m Alive”, molto enfatizzata e scandita da eccellenti chitarre. Ottimo il modo di presentarsi della canzone, con una ottima lead guitar e una grande batteria, e buono sviluppo successivo per questo mid tempo che risulta probabilmente uno dei brani più “seri” della compilation. Bell’assolo, tra le altre cose. La chiusura dell’LP (in versione originale, in quanto nella rimasterizzazione sono presenti quattro tracce bonus, ovvero “Cheater”, “Gimme love”, “A right to Live” e “Been Hurt”), dicevo la chiusurà dell’LP è affidata alla title track, che si presenta inizialmente con un sapore decisamente country, per poi svilupparsi in un pezzo tranquillo, di media velocità, che riprende le sfumature del vecchio west nei ritornelli.
Finita l’analisi delle 10 canzoni, sono davvero combattuto nel dare un voto, in quanto mai come in questo caso esso è tremendamente soggettivo. Ammetto che all’inizio l’album mi aveva letteralmente spiazzato, così diverso dallo stile che i suoi autori abitualmente avevano riservato ai fans, quando poi ho sentito “Whad’ya Say” sono rimasto di sasso. Non è un lavoro che mi è piaciuto subito, anzi. Poi però, a ripetuti ascolti, ho dovuto rivalutarlo almeno in parte, è vero che non c’entra nulla coi vari “Salisbury”, “Demons and Wizards” eccetera, ma rimane comunque un disco piacevole, che tiene sicuramente in buona compagnia. Fosse stato rilasciato diciamo 3/5 anni dopo magari avrebbe avuto ben altro successo, certo è che se gli Uriah Heep fossero stati al loro tempo apprezzati per i loro veri capolavori, “Fallen Angel” probabilmente non sarebbe mai nato, o sarebbe stato comunque tutt’altra cosa. Consiglio l’ascolto non a chi vuole conoscere questa band, perché non la conoscerebbe, ma a chi ha gusti musicali molto aperti e vuole vedere l’evoluzione di un gruppo che ha fatto la storia senza ricevere quello che avrebbe dovuto, il che l’ha portato a rifugiarsi in un radicato cambio di stile, del quale “Fallen Angel” è forse il primo esempio davvero significativo.
Riccardo “Abbadon” Mezzera
Tracklist :
1) Woman of the Night
2) Falling in Love
3) One more Night
4) Put Your lovin’ on me
5) Come back to me
6) Whad’ya Say
7) Save it
8) Love or Nothing
9) I’m Alive
10) Fallen Angel