Recensione: Fallen Angels
Venom è probabilmente uno dei moniker più suggestivi dell’intero panorama heavy metal, in grado all’epoca di evocare visioni apocalittiche e di scandalizzare le menti di certi benpensanti bigotti o di esaltare chi da questo genere pretende (anche) un atteggiamento dissacrante e una rabbia primordiale ai limiti del parossismo ma sempre con una buona dose di autoironia. Ascoltare uno dei primi, fondamentali, lavori del trio di Newcastle in un certo senso è come risvegliarsi da un terribile incubo (nel quale magari si è le vittime sacrificali di qualche efferata messa nera) rimanendo ancora per un po’ frastornati e scossi, anche se consci del fatto che è stato solo un prodotto della nostra mente. Il loro è sempre stato un genere abbastanza indefinibile (black metal, NWOBHM, punk, speed, thrash?) creato con l’intento ben preciso di definire un nuovo concetto di estremo, di eccesso, di provocazione, attraverso la musica e le liriche. Comunque c’è sempre stato anche dell’altro e titoli come “Teacher’s Pet” o “Skool Daze” sono solo alcuni esempi di quello che è l’universo dei Venom, i quali riadattarono al proprio scopo il verbo oscuro perpetrato dai Black Sabbath, esasperarono i ritmi sfrenati e adrenalinici dei Motörhead e amplificarono gli spettacolari effetti scenografici dei Kiss. Infatti, più di una generazione subirà il fascino morboso e dirompente della loro proposta, sebbene (detto in maniera brutale) Cronos, Mantas e Abaddon fossero a malapena in grado di tenere in mano uno strumento.
Purtroppo l’attuale formazione vede il solo Cronos della line-up originale (visto che tutti precedenti tentativi di reunion sono stati fallimentari, se non in occasione di “Cast In Stone” del 1997), accompagnato dal chitarrista Rage (già dal precedente “Hell”) e dal nuovo entrante Danté. In più le recenti prove in studio del combo sono state piuttosto deludenti, eppure, l’uscita di “Fallen Angels” (anticipata dalla pubblicazione della spettacolare copertina in stile Bathory) aveva destato un certo interesse. Nessuno, credo, si aspetterebbe da loro una crescita tecnica o composizioni elaborate, ma solo che facciano il loro sporco lavoro con cattiveria e senza tanti fronzoli. Confesso di aver provato una certa trepidazione quando ho inserito il cd nel lettore e ho premuto il tasto play per la prima volta, ma dico subito che le mie aspettative si sono infrante nel giro di una manciata di brani, anche se con alcune riserve. Certo, la presenza di Cronos si fa sentire: la sua voce è ruvida come al solito e le sue cavalcate sferraglianti e distorte di basso sono inconfondibili, al solito quasi straripanti. A non convincere del tutto sono alcuni ritornelli privi del necessario mordente o di quella vena ironica e smaliziata in grado di fare la differenza. Prendiamo ad esempio l’opener “Hammerhead”, una buona traccia cadenzata con una valida sezione solista, ma un refrain deboluccio, oppure “Damnation Of Souls” e “Hail Satanas” che comunque facevano ben sperare. Quanto alla prova dei suoi compagni di avventura, non si può fare a meno di notare che se da un lato la prestazione di Danté è complessivamente sufficiente, ma d’altra parte non gli viene chiesto di fare chissà quali slanci d’inventiva, quella del chitarrista Rage è piuttosto mediocre e spesso le sue ritmiche finiscono per essere travolte e offuscate dal quattro corde del frontman. Riff che troppo spesso si assomigliano l’uno con l’altro e soli non sempre riusciti. Inutile girarci intorno, l’assenza di Mantas nei Venom pesa come un macigno. La sua figura (specie come compositore) è importante tanto quanto quella di Cronos e forse anche di più. Lo dico con cognizione di causa visto che nel periodo in cui ha militato Tony “Demolition Man” Dolan, i Nostri hanno sfornato album degni di nota, primo fra tutti l’ottimo “Prime Evil” (1989). Comunque sarebbe ingiusto addossare a Rage tutte le colpe (che forse andrebbero spartite equamente) per un album non proprio riuscito, anche perché il chitarrista sembra iniziare a calarsi nella parte. Troppe infatti sono le canzoni che lo compongono e pochi sono gli episodi all’altezza del loro nome. Invece che tredici canzoni (addirittura quindici nell’edizione speciale) ne sarebbero bastate una decina ma fatte per bene. Inutile analizzarle tutte singolarmente in maniera approfondita: soffermiamoci quindi su quelle più interessanti. Molto buono il trittico “Nemesis”, “Pedal To The Metal” e “Laps Of Gods”: veloci, dirette ed efficaci. E ancora, la cupa “Sin”, la scanzonata “Punk’s Not Dead” e la tirata “Death By The Name”. Infine l’atipica “Valley Of The Kings” che mostra finalmente dei buoni fraseggi di Rage e in parte esce dalla logica delle autocitazioni.
In conclusione “Fallen Angels” è un lavoro ancora ben lontano dai fasti del passato in virtù delle pecche evidenziate. In più sembra mancare quella cattiveria che aveva fatto la fortuna dei primi album. Indubbiamente in circa trent’anni il concetto di musica estrema è mutato notevolmente e sarebbe assurdo se provassero a suonare il moderno black o il grind, ma come hanno dimostrato i maestri Sabbath in più di una occasione ci sono molti modi per essere maligni. Tuttavia il disco denota una certa crescita (specie se paragonato a “Metal Black” del 2006 e a “Hell” del 2008) data da alcuni brani tutto sommato piacevoli e che dal vivo possono sicuramente divertire, ma di certo non esaltare.
Orso “Orso80” Comellini
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Track-list:
1. Hammerhead 4:59
2. Nemesis 3:07
3. Pedal To The Metal 3:43
4. Laps Of Gods 5:09
5. Damnation Of Souls 4:29
6. Beggarman 4:28
7. Hail Satanas 4:33
8. Sin 5:33
9. Punk’s Not Dead 4:11
10. Death By The Name 3:09
11. Lest We Forget 2:14
12. Valley Of The Kings 4:52
13. Fallen Angels 7:06
All tracks 58 min. ca.
Line-up:
Cronos – Vocals/Bass
Rage – Guitar
Danté – Drums