Recensione: Fallen Heroes [EP]

Di Marco Donè - 28 Settembre 2016 - 0:00
Fallen Heroes
Etichetta:
Genere: Thrash 
Anno: 2016
Nazione:
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60

Il periodo compreso tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 sarà ricordato come uno dei più tragici nella storia della musica. Autentiche leggende che ne hanno tracciato e segnato i tratti caratteristici tra gli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, influenzando, ispirando ed emozionando intere generazioni, sono venuti tristemente a mancare. Figure che hanno lasciato un vero e proprio vuoto artistico, forse incolmabile.

 

La storia è recente e il triste elenco è noto a tutti. Se dovessimo provare a stilarlo seguendo l’ordine temporale con cui si sono verificati questi infelici avvenimenti, oltre alla caratura dei nomi coinvolti, rimarremmo colpiti dalle prime tre voci, dal breve lasso di tempo che, in circa tre settimane, ci ha privato di tre artisti che hanno rappresentato e rappresentano capitoli fondamentali, veri e propri tomi, in un’ipotetica enciclopedia musicale. Stiamo parlando di Lemmy Kilmister, David Bowie e Glenn Frey, personaggi che non hanno sicuramente bisogno di presentazione. Il primo è un’autentica leggenda del rock, che con i suoi Motörhead ha scritto inni immortali della musica dura. Il secondo è il trasformista per antonomasia, colui che ha saputo inventarsi e reinventarsi di continuo, capace di influenzare giovani musicisti non solo sul lato prettamente musicale, ma anche su quello legato all’immagine, al look. Il terzo è stato il chitarrista e compositore degli Eagles e basta citare un disco come Hotel California per comprenderne l’importanza.

 

Queste riflessioni, questi particolari devono aver impressionato i Metal Allegiance, che con l’EP Fallen Heroes tributano proprio questi tre importantissimi artisti. Il titolo è emblematico e denota tutto il rispetto provato dal super gruppo americano nei confronti delle Leggende appena citate. Fallen Heroes si struttura in tre cover, una per ogni eroe scomparso, messe in ordine seguendo la triste cronologia dei fatti. Si inizia quindi con il tributo a Lemmy e ai suoi Motörhead con Iron Fist. I Metal Allegiance dribblano abilmente la possibilità di cadere nello scontato evitando la scelta di Ace of Spades, una delle tracce più coverizzate di sempre. Decidono di puntare su un’altra track immortale dei Motörhead, che risulta sicuramente più ricercata rispetto al classico dei classici citato poco sopra. Per l’occasione, alla voce troviamo Troy Sanders dei Mastodon che cerca di rievocare lo spirito stradaiolo che caratterizzava le vocals di Lemmy. Il risultato è pregevole anche se la canzone perde qualcosa rispetto all’originale. L’esecuzione e la produzione estremamente pulite, infatti, fanno venire meno quell’attitudine animalesca che ha sempre contraddistinto le release di Lemmy e compagni. Si prosegue, poi, con l’omaggio a David Bowie, artista a tutto tondo capace di realizzare un’evoluzione che pochi, pochissimi, sono riusciti a compiere, diventando, nel corso della quasi cinquantennale carriera, creatore e opera d’arte allo stesso tempo. Mark Menghi e compagni si cimentano nella splendida Suffragette City, ovviamente riletta in chiave Metal Allegiance, dove il drumming incalzante di Portnoy e il gran lavoro di Menghi al basso sanno coinvolgere l’ascoltatore. A spiccare, però, è la prestazione di Mark Osegueda (Death Angel) al microfono, che dopo la strepitosa prova in We Rock, tributo a Dio, presente nell’omonimo debutto della formazione americana, mette in mostra, una volta in più, la propria duttilità vocale. Risulta quasi irriconoscibile nel tentativo di avvicinarsi ai colori della voce del Duca Bianco, lasciando momentaneamente da parte gli scream che lo hanno sempre contraddistinto. Il risultato è sicuramente vincente e degno di nota. L’EP si chiude con il tributo a Glenn Frey, con la rivisitazione in chiave heavy di Live in the Fast Line degli Eagles. In questa nuova versione, la traccia, pur mantenendo l’animo Seventies, si presenta più pesante, conservando la melodia che la caratterizzava, acquisendo un tiro a cui risulta difficile resistere. Portnoy e Skolnick creano un interessante tappeto su cui si staglia la clean voice di Alissa White-Gluz. Sappiamo tutti che Alissa dà il meglio di sé nel growl ma, sebbene qualche sovraincisione di troppo non renderà la sua prestazione memorabile, risulta sicuramente ben interpretata.

 

Ad ascolto ultimato, Fallen Heroes si presenta come un lavoro curato e ben suonato, d’altronde, con i nomi coinvolti, non poteva essere altrimenti. Come spesso accade con uscite del genere, però, qualche perplessità sulla sua reale utilità sorge spontanea. Certo, i Metal Allegiance nacquero come una all star band che tributava i classici del passato, per iniziare poi a comporre materiale proprio, inedito. In quest’ottica, quindi, il desiderio di omaggiare i grandi nomi venuti a mancare ha doppiamente valore, ma è la via percorsa a sollevare qualche dubbio. Saremo forse troppo maliziosi, ma la pubblicazione di questo EP sembra più una mossa per far girare il nome della band dopo il buon debutto discografico avvenuto lo scorso anno (qui la nostra recensione). Un pensiero che nasce spontaneamente, osservando la fretta con cui si è voluto pubblicare, peccando nel non tributare altre leggende come Jimmy Bain, Keith Emerson, Prince, anch’esse venute a mancare in questa prima parte del 2016. Forse, avrebbe avuto più senso creare un bonus disc, che omaggiasse tutti gli artisti scomparsi nel lasso di tempo citato all’inizio di queste righe, da inserire in una tiratura limitata per il futuro secondo full length. Proprio questo pensiero, che si intensifica ascolto dopo ascolto, non permette di gustarsi a pieno questa nuova fatica griffata Metal Allegiance. Come dicevamo, Fallen Heroes si presenta come un lavoro curato e ben suonato, oltre, purtroppo, non riesce ad andare.

 

Marco Donè

 

 

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60