Recensione: Falling Into Infinity
Direi prima di tutto di stendere un velo pietoso sul clima discografico con il quale questo disco è stato registrato. Quinta uscita ufficiale del gruppo americano e senza dubbio quella più discussa, FIF rappresenta per molti l’unico punto negativo di una discografia ormai giunta a maturazione. Purtroppo sono pochi a sapere che spesso è indispensabile ricorrere ad alcuni compromessi con la casa discografica pur di ottenere la distribuzione a livello mondiale di un nuovo album, un compromesso in senso commerciale ovviamente. La fase di incisione ha dovuto sopportare numerose variazioni e tutto il disgusto dei nostri quattro, dopo ACOS ancora una volta accompagnati alle tastiere da un personaggio molto stravagante che non ha certo lasciato dei bei ricordi nella maggior parte dei fan, Derek Sherinian. Forse perchè è venuto dopo Kevin Moore e prima di Jordan Rudess, forse semplicemente perchè non si trattava del suo genere. Nonostante tutto questo rimane un disco dei Dream Theater: come sempre di alto livello artistico e tecnico, moderno e ricco di novità che non verranno neanche prese in considerazione in futuro, rispettando la regola ormai assimilata dal gruppo, secondo cui ogni nuova release è diversa da quella precedente.
Ho sempre definito questo capitolo discografico come quello di maggiore ispirazione Metallica. Il suono di chitarra sembra più pronunciato (vedi Peruvian Skies e Burning My Soul) ad incalzare le tastiere spesso arrampicate sui vetri, Mike Portnoy fa largo uso delle percussioni concedendo al disco una sonorità più atmosferica insieme al basso profondo ed intimo di Myung. La voce di James LaBrie si fonde con dolcezza nei pezzi tranquilli del disco, anche se in effetti lascia un pò a desiderare nelle tirate più accattivanti. Resta molto poco di quanto registrato sulle precedenti uscite, quindi a differenza dei primi due dischi con la formazione al completo, questa volta è consigliato l’ascolto prima dell’acquisto. E’ qui che i Dream Theater abbandonano la strada metal propriamente detta per avvicinarsi ad una forma di rock più raffinata e tecnica, meno grezza ma movimentata nell’origine artistica delle tastiere di Derek (vedi Just Let Me Breath). Nonostante l’alta qualità e i buoni arrangiamenti, mancano le parentesi strumentali cui eravamo tanto affezionati, la struttura della canzone diventa quella convenzionale (strofa/ritornello/assolo) così come la lunghezza dei pezzi si allontana dalla media dei dieci minuti.
Prima fra tutte vorrei citare Lines In The Sand. Stupefacente non-rappresentante dell’intero album, lascia trasparire le antiche indimenticabili radici del gruppo in compagnia delle background vocals di Doug Pinnick dei King’s X. Protagonista è certamente il John Petrucci più ispirato dalle chitarre di David Gilmour, a formare l’incastro di tutte le nuove componenti sonore di questo disco in un solo brano. A mio parere un autentico capolavoro, così come monumentale può essere considerata la precedente traccia strumentale Hell’s Kitchen: quattro minuti di definizione artistica allo stato puro in cui non si conta un singolo istante privo di commozione, questo pezzo vale a mio parere l’acquisto immediato dell’album.
Il resto del disco si muove su binari decisamente più sottili, mi riferisco alla piacevolissima Hollow Years e alla toccante Take Away My Pain, ma non si conclude allo stesso modo. Trial Of Tears è un brano che di poco supera i tredici minuti, si divide in tre parti di cui quella centrale interamente strumentale, mentre le liriche in esso contenute sono state scritte dallo strumento che in questo pezzo sembra divertirsi di più, il basso di John Myung. Le atmosfere introduttive non possono che rimandarci ai Rush di A Farewell To Kings, tutto quello che viene dopo lascia un graffio sul disco a ricordare che malgrado gli inconvenienti incontrati durante le registrazioni, i Dream Theater sono comunque riusciti a mettere sul mercato un altro pezzo della loro storia forse non all’altezza dei precedenti (e dei seguenti) ma pur sempre musica studiata e di alto pregio, di certo la più orecchiabile ma non per questo più semplice da concepire.
Andrea’Onirica’Perdichizzi
TrackList:
1. New Millennium
2. You Not Me
3. Peruvian Skies
4. Hollow Years
5. Burning My Soul
6. Hell’s Kitchen
7. Lines In The Sand
8. Take Away My Pain
9. Just Let Me Breath
10.Anna Lee
11.Trial Of Tears