Recensione: Falling to Pieces
Ultimamente la proposta di musica metal proveniente dalla scandinavia sembra essersi arricchita in particolar modo di alcune sonorità progressive. Se fino a qualche tempo fa, geograficamente parlando, il nord europa era patria esclusivamente del black metal e di qualche gruppo dedito al power melodico come gli Stratovarius, sembra che le cose stiano un po’ cambiando. A partire da Vintersorg il cui ultimo gran bel disco “Visions from the Spiral Generator” è un concentrato di prog e black, per passare agli Elsesphere che fondono prog e thrash e infine a questi ultimi Divided Multitude, la penisola scandinava sembra aver scoperto il prog e averlo assimilato per bene.
Il gruppo in questione propone un prog con più di un accenno al power, che non fa mai male, e che contribuisce a rendere la loro proposta interessante e originale. Le canzoni scorrono via godibili e senza intoppi avvalendosi anche della versatile voce di Sindre Antonsen che passa da un cantato più dolce a uno più aggressivo a uno più propriamente power con grande facilità.
In un genere come il prog è difficile fare un disco senza finire per essere inevitabilmente paragonati ai capisaldi del genere e in particolare ai Dream Theater. Ovviamente non sfuggono a questa “legge” neanche i Divided Multitude. In qualche passaggio infatti i giovani scandinavi ci mostrano di aver ascoltato bene e di aver assimilato la lezione degli autori di Images and Words facendoceli ricordare un paio di volte. Ma si tratta solo di qualche punto in cui le sonorità degli strumenti ce li riportano alla mente, come anche in un paio di passaggi le linee vocali ci ricordano i pezzi più votati al power dei Time Machine.
Ma, come si diceva, sono solo rimembranze, passaggi che riportano alla mente lo stile dei gruppi appena citati. Al contrario le canzoni che compongono questo “Falling to Pieces” sono tutte originali e mostrano una vena compositiva ispirata ed esperta.
Nonostante i passaggi di cui si parlava prima, in generale i brani dei Divided Multitude denotano già uno stile personale e ben delineato in grado di farsi apprezzare. Ognuna delle canzoni riflette la personalità del gruppo e ce lo fa apprezzare. In particolare ha destato la mia attenzione la seconda canzone intitolata “Focus” che con i suoi sette e passa minuti è rapidamente diventata la mia canzone preferita. Probabilmente meriterebbe anche da sola l’acquisto del disco ma si tratta tutte di belle canzoni con il secondo brano in particolare che è una piccola perla.
Le influenze del gruppo però mostrano di andare anche un po’ indietro negli anni, come nel caso di Locked Away, la quinta traccia, in cui circa a metà fanno il proprio ingresso delle tastiere che imitano il classico organetto Hammond anni ’70 così tipico per esempio dei Deep Purple.
Se qualche difetto va ricercato in questo album secondo me si trova nel libretto che lo accompagna. Se da una parte il design è volutamente semplice ma d’effetto, dall’altra non si capisce perchè i testi delle canzoni siano ridotti a una sola frase estratta dal corpo del testo impedendo così di seguire interamente i brani.
Per concludere un disco molto interessante che miscela sapientemente la nuova vena prog proveniente dal nord europa con qualche venatura power. Interessante soprattutto per essere un’opera prima e che se si saprà rivelare non un caso isolato potrebbe veramente essere il degno e promettente inizio di una band rivelazione. Consigliato a chi vuole sentire qualcosa di nuovo da gruppi nuovi con tante cose da dire.
Tracklist:
01 Enter Paradise
02 Focus
03 Stigmatize
04 I
05 Locked Away
06 No Man’s Land
07 Dreamin’
08 Falling to Pieces
Alex “Engash-Krul” Calvi