Recensione: Far from the Sun

Di Daniele Balestrieri - 6 Settembre 2003 - 0:00
Far from the Sun
Band: Amorphis
Etichetta:
Genere: Prog Rock 
Anno: 2003
Nazione:
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59

It’s a day of the Judgment,

The day of your Beliefs…

 

È davvero il giorno del giudizio per gli Amorphis, il giorno in cui i loro fans saranno messi a dura prova nella loro passione: reduci da un Am Universum assolutamente non convincente e da tutta una serie di “restyling” di immagine che li hanno portati dal greve Privilege of Evil fino agli album più disparati, eppure sempre suonati nel loro classico “amorphis style”, una serie di mutamenti continui che rendono sicuramente fede al loro nome. Tralascerò per ovvi motivi la lunghissima storia di questa band, presupponendo che ne conosciate già almeno una parte, e mi getterò nell’analisi della loro ultima fatica, pubblicata un anno dopo “Chapters”, la seconda raccolta delle loro canzoni più significative. Prima dell’uscita di questo attesissimo “Far from the Sun”, il sestetto finlandese pubblicò il singolo di “Day of your Beliefs”, prima traccia dell’album completo. Ovviamente non me la lasciai sfuggire al tempo, e quando la ascoltai potei solo rimanere affascinato dalla meraviglia di questa canzone, che riprendeva a piene mani la tradizione di Elegy e di Tuonela, con grande maturità e grandissimo gusto musicale. Gli Amorphis del nuovo millennio sono esattamente quelli di Day of your Beliefs, canzone ricca di diversioni, con chitarre potenti e la sempreverde tastiera ormai trademark del gruppo, molto arabeggiante, che trascina lo spettatore negli scenari potenti e infiniti della loro tradizione musicale.

 

E non c’è che dire, dopo quel singolo i loro fans potevano aspettarsi tanto, tantissimo da questo album. Non nego, da grandissimo fan di questo gruppo, di aver atteso spasmodicamente questo album, specialmente dal giorno in cui il loro singolo – in distribuzione esclusivamente in Finlandia – si era letteralmente sciolto nel lettore CD. Qualche mese dopo ecco quindi il Cd finale, pubblicato in una maniera abbastanza inconsueta: la distribuzione infatti è passata innanzitutto dalla Finlandia, quindi si è allargata ai paesi della Russia bianca (Estonia, Lettonia, Lituania, Ucraina, Polonia, Bulgaria e Europa dell’Est); quindi dopo una breve pausa è stato distribuito in Europa, quindi in America e nel resto del mondo. Quello che ci troviamo nelle mani, quindi, è un prodotto finale che ha puntato moltissimo sulla prima, ottima canzone, e che nelle seguenti si è lasciato andare letteralmente alla deriva. A fan degli Amorphis odio scrivere una cosa del genere, specialmente dopo aver alzato le sopracciglia più volte durante l’ascolto della loro precedente release.

 

Veniamo al dunque. Un accuratissimo ascolto dell’album non ha fatto altro che convincermi che quest’album non è veramente un gran che, e segna senza dubbio un momento nella carriera degli Amorphis in cui hanno deciso di cedere al guadagno del consenso delle masse piuttosto che all’appagamento dei loro fans della scena più estrema. Non è un caso che in Finlandia e in tutti i paesi circostanti quest’album abbia fatto un successo di pubblico strepitoso, balzando in vetta alle classifiche (una cosa comunque non nuova per loro) e guadagnandosi una certa fama negli ambienti “light rock” medi dei club/pub scandinavi in genere. Questo perché è veramente difficile identificare quest’album come “metal” nel senso più stretto del termine, laddove una categoria “rock” gli sarebbe decisamente più consona. Dalla loro parte gioca la grandissima esperienza in campo musicale, raccolta in anni e anni di continua raffinazione del proprio sound: ecco che Far from the Sun è un album fatto con criterio, con sicurezza, con mestiere, con una registrazione cristallina e un dosaggio compito degli strumenti. Però manca di forza, manca anche della grande personalità di album come Tales from the Thousand Lakes, come Elegy, come Tuonela. Anche se in copertina troneggia ancora il loro famoso simbolo mitologico, il martello di Ukko, di mitologico ormai non hanno più niente. Hanno abbandonato la glorificazione del loro paese attraverso i testi tratti dai loro poemi nazionali, Kalevala e Kanteletar, e si sono buttati in testi del tutto anonimi e in melodie che nella prima parte dell’album possono anche essere gradevoli, ma che scadono e opprimono nella seconda parte, in maniera anche abbastanza clamorosa, trasformando ogni traccia in una specie di pappone piagnucoloso semitiepido. Sono parole che fanno soffrire un fan degli Amorphis, specialmente coloro che sentono ancora pulsare gli Amorphis di altri tempi attraverso le melodiose chitarrone, le tastiere ben suonate e soprattutto attraverso la voce ormai familiare di Pasi Koskinen. Vorrei parlare nuovamente con quei critici che hanno definito “Tuonela”, la title track dell’album omonimo, una traccia da piagnisteo, e vorrei sapere cosa ne pensano di questo Far from the Sun.

 

Credo che una “linea discendente” sia la cosa che meglio rappresenta quest’album. Dell’inizio, Day of your Beliefs, ne ho già parlato, per cui parlerò della seconda, in cui si sente già qualcosa che non torna. Planetary Misfortune inizia con un ottimo giro di accordi sostenuto da una elaborata tastiera e da una strofa iniziale incalzante, ancora in ottimo stile heavy/elegy, ma quando Koskinen stacca con un ritornello da “boy band” americana la canzone perde subito tono, così come la sua voce, che tenta di imitare un dolce falsetto che non riesce proprio a inserirsi all’interno di una canzone graziata da una struttura musicale tutt’altro che banale. Con Evil Inside troviamo un altro esperimento, di radici un po’ gotiche, in cui la voce è come telefonata al microfono, e ritorna immediatamente a una canzone di buono stile musicale ma di scarsissimo grip. E via via tutte le altre ripetono lo stesso copione: musicalmente ricordano in troppe occasione i loro lavori passati, ma la voce non riesce proprio a rendere giustizia a certi riff potenti, finché non avviene il grande stacco con la sesta traccia, Ethereal Solitude. Iniziata dopo un’anonima title track, la canzone è una vera fucilata, solo che la pallottola viaggia a circa 2 metri all’ora, e penetra nelle carni dell’ascoltatore così lentamente da poter sentire ogni strato di pelle che si buca, ogni tendine che si spezza, ogni osso che si incrina e si frantuma. Se provenisse da qualche band americana di pop piagnucoloso costruito per le ragazzine di quattordici anni, probabilmente non mi stupirebbe. Ci manca solo il video col mare al tramonto e con i membri della band che cantano con gli occhi sonnolenti guardando la telecamera. E non ci siamo nemmeno con le ultime due tracce, che chiudono il CD con un fade lunghissimo dove la melodia si consuma nell’aria come lo sbadiglio dell’ascoltatore.

 

Potrei essere tacciato di essere stato troppo duro con Far From the Sun, per cui chiuderò con una specie di recupero dell’ultima ora. Il problema di questo album è che suona ancora dannatamente Amorphis, e questo perché le melodie di tutti, e ripeto tutti i loro album sono ancora vigorose in questo lavoro. Cosa manca? Tutto il resto. Le melodie sono belle, alcune anche bellissime. Parlando di nuovo di Ethereal Solitude, la canzone contiene un assolo lento di pregevole tempismo e fattura, ma il tutto risulta scialbo, incolore, come i testi, assolutamente privi di un senso logico tranne quello della settima, Killing Goodness, che ricorda la decadenza fatalista degli Amorphis di Tuonela. Il tutto è ancora più incolore nel libretto del CD, davvero di una scarsezza di colori, di immagini e di testi fuori dal comune, affogato in un concept rosso-bianco che non fa davvero notizia. Saranno andati in semplicità, saranno andati per il design, saranno andati per il leggero, una cosa è certa… quest’album è una poderosa crosta Amorphis piena d’aria. L’ascoltatore occasionale lo troverà un album pieno di melodia, ma davvero poco convincente. Se volete iniziare ad ascoltare gli Amorphis tenete quest’album per ultimo, o quasi. I fans die-hard degli Amorphis sentiranno una sensazione di rifiuto generico per quest’album, tuttavia le atmosfere un po’ decadente e le melodie strettamente tipiche ve lo faranno ascoltare più volte, e magari riuscirete anche a ingoiarlo a forza, in attesa del prossimo che potrebbe essere il tonfo definitivo. Al di fuori dei discorsi degli eventuali omaggi a band come Pink Floyd o al Rock’n’ Roll in genere, personalmente posso dire di aver rivalutato Am Universum dopo questo Far from the Sun: almeno è più originale.

 

Tracklist:

  1. Day Of Your Beliefs
  2. Planetary Misfortune
  3. Evil Inside
  4. Mourning Soil
  5. Far From The Sun
  6. Ethereal Solitude
  7. Killing Goodness
  8. God Of Deception
  9. Higher Ground
  10. Smithereens

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