Recensione: Fast Loud Death
Giovani e imberbi, anzi, giovanissimi, non ancora tutti maggiorenni, eppure già vincitori di una nota competizione nazionale tra band e poi della finalissima mondiale a Londra e detentori di un prestigioso contratto con un colosso come Nuclear Blast. Si formano poco più di due anni fa e dopo aver dato alle stampe un demo autoprodotto di tre brani e aver tenuto qualche show a livello locale, i Lost Society si presentano con il debutto “Fast Loud Death”.
Bisogna dare atto al popolo scandinavo di aver fatto qualcosa di impensabile alle nostre latitudini: dar risalto a una sorta di talent show nazionale per band heavy metal (e più nello specifico thrash alla Municipal Waste, Nuclear Assault, Anthrax). In Italia al massimo avremmo ritrovato la cover band dei Queen o dei Kiss o il sosia/clone di Michael Jackson… Ve li immaginate Gerry Scotti e Maria De Filippi a giudicare, portare in finale e far vincere una band che, con tanto di borchie, teschi e abiti di pelle, propone pezzi propri? Ma è solo una differenza culturale e di costume tra popoli diversi oppure nonostante la giovane età e di conseguenza la scarsa esperienza, i Lost Society hanno le carte in regola, o meglio il talento, per potersi affermare come i nuovi astri nascenti della musica pesante (magari anche agli occhi di chi non è abituato a masticare questo genere)?
Ebbene, non ci girerò tanto intorno: il combo di Jyväskylä, fin dalle prime note di “N.W.L” fino alla conclusiva “Fatal Anoxia”, dimostra di avere le idee chiare, di sapere bene quello che vuole fare e di avere i mezzi per riuscirci. Tecnicamente piuttosto preparati, i Lost Society mettono in campo anche un certo gusto per composizioni aggressive e allo stesso tempo accattivanti, trasudanti tutta la freschezza e la carica giovanile di cui dispongono ed è per questo che le canzoni non danno l’idea di già sentito, di stantio, insomma, di un compitino copiato a dovere. Sono molti i frangenti tra i solchi di questo “Fast Loud Death” capaci di smuovere di peso l’ascoltatore, portandolo al più sfrenato air guitar o headbanging. Scavando più a fondo, però, i quattro giovani finlandesi possiedono davvero il talento e la stoffa per distinguersi da tutti gli altri, tanto da guadagnarsi subito un contratto con Nuclear Blast, quando là fuori ci sono gruppi che si sbattono per anni con pari umiltà, determinazione e capacità tecnico/compositive e spesso finiscono per firmare a carriera inoltrata per etichette minori? Probabilmente è troppo presto per dirlo con cognizione di causa, in fondo si tratta sempre di un album di debutto, tuttavia, per quanto questo lavoro sia promettente e faccia ben sperare per il futuro, non fa gridare al miracolo.
Questo perché di buone idee ce ne sono molte, alcune esaltanti, eppure spesso sembrano buttate lì frettolosamente, tirate via, o meglio, non sviluppate a dovere. La lunghezza dei brani, poi, raramente sopra i tre minuti, non fa che amplificare questa sensazione d’incompiutezza. Un esempio su tutti “This Is Me”, forte di due/tre spunti davvero interessanti che però gettati così alla rinfusa finisco per confondersi nella mischia e perdere d’efficacia. Quello che le singole tracce guadagnano in freschezza ed in immediatezza, perciò, lo perdono a lungo andare in termini di longevità. Non solo, scorrono via che è una bellezza, ma a conti fatti quelle che rimangono davvero impresse, conferendo spessore al lavoro nel suo complesso, non sono poi molte, se non per l’appunto quelle più articolate. Non è un caso se i brani che regalano maggiori soddisfazioni sono l’anthraxiana “Bitch, Out’ My Way”, l’unico a sfondare il muro dei quattro minuti, e l’articolata, per i loro standard, e dinamica “Trash All Over You” (sì, avete capito bene, senza “acca”).
In parte da rivedere anche il cantato di Samy Elbanna, mai veramente incisivo nei versi e nei refrain urlati e decisamente più a suo agio con il tono pulito o semi-sporcato. Probabilmente in questo caso è più un problema d’inesperienza e non di scarsa capacità o personalità. Molto buona, invece, la prova della sezione ritmica. Lehtinen al basso e Paananen alla batteria riescono sempre a dare una spinta propulsiva non indifferente, dimostrando oltretutto un ottimo affiatamento. Prendiamo, tanto per avere un esempio, la dinamica partenza di “Piss Out My Ass”, nella quale i due strumenti agiscono davvero all’unisono e l’uno non sovrasta mai l’altro. Merito senz’altro di una produzione che ha saputo valorizzare il contributo del basso (cosa, purtroppo, tutt’altro che all’ordine del giorno in campo thrash) facendolo diventare strumento determinante al pari degli altri, oltre che della valida preparazione del singolo. Davvero degno di nota, infine, l’impegno in fase solista di Lesonen ed Elbanna, tanto che un brano come “Braindead Metalhead”, che poteva tranquillamente finire nel novero dei brani tutto sommato superflui, grazie al lungo e vario solo che si dipana su alcuni cambi ritmici, esaltandoli, finisce quasi per spiccare su altri.
Insomma, tanto di cappello al popolo finlandese per aver portato agli onori della cronaca nazionale un gruppo thrash metal come i Lost Society e complimenti a Nuclear Blast per aver puntato su una promettente band giovane invece che solo sui soliti nomi di richiamo. Alla luce dei difetti presenti su “Fast Loud Death”, però, occorrerebbe forse una riflessione più ampia sul futuro del nostro amato genere. Non sia mai, infatti, che in un certo senso, pur con lavori lungi da essere commerciali, finisca per omologarsi con il consumismo imperante in ambiti musicali più popolari. Cioè che si producano dischi che durano il tempo di una stagione e poi finiscano nel dimenticatoio sommersi da altre migliaia di prodotti simili, invece che essere confezionati ad arte per durare e maturare nel tempo. Perciò, ben vengano lavori del genere, finché si tratta di un debutto o poco più, ma sarebbe ingiusto nei confronti di chi investe tempo, soldi e passione in lavori più completi e personali, esaltarli più del dovuto solo ed esclusivamente per la popolarità ottenuta in tempi brevi.
Orso “Orso80” Comellini
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