Recensione: Father of Serpents
‘Father of Serpents’ è il secondo album degli statunitensi Diabology, disponibile dal 7 ottobre 2022 via Dissonant Hymns Records.
Band molto giovane, a dispetto di un logo dannatamente Old School, nata nel 2016 in quella grande fucina metallica che è Los Angeles, dopo qualche assestamento della lineup si è lanciata sul mercato nel 2020 con l’interessante e feroce ‘Nobody Believes Me’.
‘Father of Serpents’ è il suo giusto seguito: meno istintivo e più ragionato, mostra una band che vuole crescere seguendo l’attuale corso d’intendere il Thrash Metal, ossia prendere la sua essenza, buttarla in un calderone insieme ad altre cose truci, come il Groove dei Pantera, il Metalcore dei Trivium, il Death ed il Black, oltre ad una manciata di ritmi pesantemente rallentati, che male non ci stanno, per rimestare poi il tutto per portarlo ad ebollizione fino a far tracimare un prodotto oscuro, rovente e minacciosamente vivo (da non confondere con il ‘malefiken rancio delle Sturmtruppen dotato di vita fittizia’).
Insomma, il cercare un qualcosa di nuovo mettendo assieme un sacco di roba vecchia è un qualcosa di non proprio semplice: i rischi di finire nello scontato, di dare più che altro la sensazione del “siamo privi d’identità, ma sappiamo suonare un po’ di tutto” sono tanti.
I Diabology ne escono abbastanza bene, con un album che ci si mette un po’ a comprendere perché ostico, violentemente disturbante nel suo essere complesso ed imprevedibile, ma che ha un suo perché con i suoi continui cambi di tempo, la selvaggia voce urlata e le atmosfere a varia temperatura che s’insinuano una nell’altra rendendo il tutto caliginoso.
‘Father of Serpents’ non è solo aggressività buttata lì, con qualche refrain più melodico per stemperare gli animi e qualche assolo qua e là per allungare il minutaggio. Al contrario, è il risultato di un songwriting studiato nel dettaglio per manifestare personalità attraverso un proprio stile, colpire duro e restare impresso.
In effetti, la maggior parte dei pezzi questo scopo lo raggiungono: l’esplosività ritmica della Title-track colpisce come un maglio, l’assalto incessante e tribale di ‘The Softest Grave’ non lascia scampo, ‘Eat My Heart Soul’ sembra che dia un po’ di tregua ma non è vero, diventando un vortice compresso e furioso e la pesantezza di ‘Chimera’ è ossessiva e devastante.
Non tutto è venuto bene, ci sono anche pezzi spigolosi o troppo quadrati: ‘Writhe’, ‘March to Sea’ e ‘Lighthouse Hymn’ hanno la stessa fluidità di un blocco di cemento, ma ci può stare. La band è giovane e, considerando ‘Father of Serpents’ nel suo complesso ed il balzo in avanti che ha fatto rispetto a ‘Nobody Believes Me’, si può presumere che abbia un buon futuro davanti.
Pensiero che trova conferma nell’ingresso, successivo alla registrazione dell’album, del chitarrista Tony Lovato (annunciato come un vero ‘tritadocumenti’ … bah!, appellativo veramente originale), che porta la formazione da tre a quattro elementi aumentandone la forza.
‘Father of Serpents’ è stato registrato e mixato da Dave Kaminsky (Stone Healer, Fires in the Distance), con il mastering di Ryan Williams (Kardashev, The Black Dahlia Murder) presso gli Augmented Audio, mentre la copertina è stata disegnata da Anditya Dita (Magic The Gathering, Rings of Saturn, Killitorous).