Recensione: Fatherland
Terzo album per i belgi Ancient Rites, un album particolare e a mio avviso davvero bellissimo, per una band spesso misconosciuta e sottovalutata, ma in realtà dotata di grandi capacità compositive e di una inventiva che ha poche rivali.
Il genere che più si avvicina alla proposta del gruppo è il black metal, ma, diciamolo subito, è meglio togliersi subito dalla mente i capisaldi più “true” di questa musica oscura: Darkthrone e Mayhem sono ben lontani dallo stile dei belgi quasi quanto il black-sinfonico di gruppi come i Dimmu Borgir. La musica degli Ancient Rites è un gustoso e molto azzeccato misto di vari generi diversi. Troviamo parti sinfoniche, voce growl, scream, riff di chitarra quasi ottantiani, cori epici, assoli di gusto power. Un mix davvero vario ma realizzato con una attenzione per la melodia e la composizione che ha, secondo me, pochi epigoni.
L’album si apre con Avondland, un brano come sempre quasi all’opposto di ciò che ci aspetterà successivamente. Si tratta di una intro strumentale che sa molto di musica classica e che alterna momenti più sinfonici ad altri leggermente più marziali. E di intro si tratta in tutto e per tutto perchè il motivo su cui si chiude sembra proprio ricordare l’orchestra che si ferma e poco dopo il sipario si apre sugli attori sul palco. Allo stesso modo le ultime note di Avondland si spengono per fare spazio a Mother Europe, brano che inizia subito con un incalzante riff di chitarra che per certi versi ricorda tanto da vicino la NWOBHM. Come già avevo anticipato si tratta solo di una delle frecce nella faretra degli Ancient Rites e un po’ di esse ce le mostrano subito in questo brano. La voce è davvero molto versatile e capace di passare dal sussurrato, al growl, allo scream, al clean riuscendo sempre a convincere.
Secondo me però è con la titletrack che il gruppo raggiunge davvero l’apice compositivo di questo album. In essa sono contenuti tutti i tratti dell’eclettica musica dei belgi, mixati come meglio non potevano davvero fare. Personalmente è inoltre una delle mie canzoni preferite in assoluto. Sono convinto che un solo ascolto di questo brano potrebbe convincere quasi chiunque della assoluta validità degli Ancient Rites. Nel mio caso è riuscito a incuriosirmi così tanto da spingermi alla ricerca di quant’altro avessero fatto, con il risultato di avermi dato molte soddisfazioni grazie alla assoluta qualità che contraddistingue le loro composizioni.
Continuando la disamina dei brani è impossibile non citare anche brani come Season’s Change con la suo perfetta introduzione con chitarra classica accompagnata da pianoforte e tastiere che si trasforma poi nel granitico riff di chitarra, e contraddistinta da un ritornello tra i più evocativi nell’intera discografia del gruppo.
O ancora Dying in a Moment of Splendour, canzone assolutamente epica che si discosta un po’ dallo stile del gruppo per abbracciare ritmiche e soluzioni che ci riportano alla mente in alcuni passaggi anche i Summoning. Ma è obiettivamente piuttosto difficile fare una specie di graduatoria di quali siano le canzoni più belle del lotto perchè si trovano tutte all’incirca sullo stesso piano, e si tratta di un piano di qualità decisamente superiore alla media.
Per concludere degnamente questa recensione devo ammettere che si tratta di uno degli album che più mi siano piaciuti in assoluto. Dal punto di vista della produzione è forse ancora mezzo passo indietro rispetto al successivo Dim Carcosa, così come anche dal punto di vista dell’omogeneità dei brani. Però forse si rivela anche un punto di forza mostrandoci quanto siano versatili e capaci dal punto di vista compositivo questi belgi. Un disco da avere e da ascoltare, la titletrack in particolare è un brano che vi conquisterà, di questo sono assolutamente certo.
Tracklist:
01 Avondland
02 Mother Europe
03 Aris
04 Fatherland
05 Season’s Change
06 13th of October 1307
07 Dying in a Moment of Splendour
08 Rise and Fall (Anno Satana)
09 The Seducer
10 Cain
Alex “Engash-Krul” Calvi