Recensione: Fear No Evil

Di Marco Tripodi - 24 Ottobre 2016 - 19:04
Fear No Evil
Band: Quartz
Etichetta:
Genere: Heavy 
Anno: 2016
Nazione:
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62

A volte ritornano. Non sono moltissime le band sopravvissute della NWOBHM che cercano ancora oggi di rimanere nell’agone rockettaro, nonostante il grande Cronos (inteso come divinità mitologica, non quel guascone mangiapreti di Conrad Lant) abbia decretato che il loro momento sia irrimediabilmente passato, esaurito. Quelle sonorità parrebbero dover essere fuori tempo massimo, ma noi sappiamo che è una bugia, visto il fiorire di nuove realtà – spesso capitanate da giovanissimi virgulti che manco erano nati al tempo dei vari “A Time Of Changes”, “Rock Until You Drop”, “Give’em Hell”, “Loose ‘n Lethal”, etc. – che proprio ai riff dei numi tutelari della NWOBHM si ispirano con affetto e commovente senso di appartenenza. Qualcuno di quei vecchietti tuttavia continua a scommettere su se stesso, nonostante gli acciacchi e i reumatismi; Angel Witch, Blitzkrieg, Satan, Raven, Girlschool, Tygers Of Pan Tang, Savage, Tank, Venom, Jaguar, Gaskin, tra alti e bassi, hanno pubblicato album di inediti anche ben oltre gli anni della NWOBHM. Discorso a parte meritano Iron Maiden, Def Leppard, Diamond Head, Saxon, Venom, una manciata di nomi che, pur senza darsi al “core”, al “post” o a nuov-ismi di sorta, hanno comunque parzialmente modificato e/o abbandonato gli stilemi del tradizionale metallo inglese a cavallo tra ’70 e ’80.

Degli indomiti guerrieri del rock muniti di gerovital e cardioaspirina ora entrano a far parte pure i Quartz di Birmingham, tre full-length all’attivo tra il ’77 e l’83, oltre alla consueta manciata di singoli che in ambito NWOBHM era pratica assai comune (diverse band al cosiddetto 33 giri in vinile non ci sono mai neppure arrivate, e la loro discografia è stata ricostruita ex post, da qualche label archeologica che ha riunito demotape, 45 giri e registrazioni ancestrali conservate da qualche druido di Stonehenge). “Fear No Evil” vede riunita la formazione originale del primo omonimo “Quartz”, fatta eccezione per il singer Mike Taylor scomparso proprio in questi giorni. Al suo posto c’è David Garner, che si era già presentato al pubblico dei Quartz con il “Live And Revisited” (2013), CD a tiratura di appena 100 copie. La band certo non può aspirare a budget faraonici ma, abituata alla filosofia operaia della NWOBHM, si è messa sotto come una formichina, per arrivare alla pubblicazione di un inaspettato nuovo capitolo della propria storia discografica. 

Parliamo innanzitutto di una operazione nostalgia, poiché qualsiasi nuovo episodio di una band di quegli anni e di quel movimento è un po’ una freccia al cuore per l’audience che quel periodo lo ha vissuto in prima persona, o che comunque lo ha metabolizzato a mo’ di brodo primordiale dell’heavy metal, la fonte alla quale si è abbeverata buona parte della musica che è seguita dopo. Come tale, “Fear No Evil” non può non scaldare i cuori e strappare un sorriso benevolo. Così come va detto che le 10 tracce del disco (12 in realtà, ma due sono delle brevi intro) sono assolutamente gradevoli e accattivanti. Ad onor del vero però va anche ammesso che “Fear No Evil” non rimarrà negli annali come un disco spartiacque della musica. L’artwork ingenuo e sempliciotto preannuncia un po’ quello che ascolteremo avviato il dischetto nel lettore. NWOBHM rispettosa e coerente con gli anni che hanno visto protagonista il genere – dunque i Quartz non si concedono colpi di testa d’avanguardia – e che riavvolge il nastro anche rispetto ad “Against All Odds” (1983), penultimo studio album della band, che aveva visto qualche influenza più hard rock allungare l’ombra sul songwriting dei Quartz. Il timbro di Garner, talvolta vicino a quello di Ozzy Osbourne, si spalma su riff diretti e abbastanza quadrati, che sfociano rigorosamente nel ritornello melodico. Niente di pacchiano o troppo zuccheroso, poiché agli inglesi troppa mielosità non è mai andata a genio (con le dovute eccezioni, ad esempio Saracen o Def Leppard). I Quartz sono come dei ballerini agée di liscio che si lanciano sul dancefloor di qualche locale all’ultimo grido; sulle prime le loro movenze ingessate ed anacronistiche possono far ridere sotto i baffi qualche giovanotto ma, col passare del tempo, tenerezza e simpatia nei loro confronti sgorgano con spontaneità, e si rimane volentieri a vedere l’esibizione fino in fondo. 

Canzoni in quattro quarti, linearità della partiture, persino qualche eco di assonanza tra una canzone e l’altra, “Fear No Evil” non verrà citato sui libri di storia e pure all’interno della NWOBH sono ben altri i capisaldi imprescindibili, tuttavia i Quartz non pretendono di cambiarvi la vita, solo di proseguire la propria, fatta di musica schietta e genuina, cameratismo da sala prove e buoni sentimenti. A voi saperli cogliere e collocarli nel giusto contesto.

Marco Tripodi

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