Recensione: Fear Of The Park
Non ce ne vogliano i gioviali Splatters e speriamo davvero non intendano inviarci all’uscio di casa qualcuna delle spiacevoli creature di cui amano trattare nei coloriti ed allucinati testi delle loro canzoni.
Tuttavia, l’ascolto di “Fear Of The Park”, album di debutto di questa singolare formazione lombarda, si presta ad una serie di considerazioni che sfortunatamente non contribuiscono a ricavarne pareri del tutto favorevoli.
Forse l’esordio è arrivato troppo presto. Forse le cose andavano studiate meglio e con maggiore calma. Fatto è che, tolti un bella dose di ironia, un titolo che prende per i fondelli in maniera gioiosa un celebre album degli Iron ed una discreta e più che evidente preparazione strumentale, i motivi di sufficienza per questa incerta prima uscita discografica sono invero limitati.
Anzitutto la produzione.
Ragazzi, ok la ricerca di atmosfere da horror movie di terza categoria. Va benissimo il “flavour” marcio e stantio di sangue rappreso e cadaveri in putrefazione. Nulla in contrario all’uso di suoni secchi e scarni in stile low-fi. Ma forse qui si è un po’ esagerato.
Il disco suona impastato, fangoso, appiattito come una demo-tape incisa con approssimazione mediante l’uso di un vecchio registratore a bobine. Nulla insomma, che possa concedere qualcosa al semplice piacere d’ascolto che in tal modo, è invece faticoso e per nulla gradevole. Chitarre zanzarose, basso impercettibile e batteria remota. L’effetto è certo, ma il dubbio che sia davvero quello ricercato è piuttosto ingombrante.
Indi, il songwriting.
Ancorato strenuamente ad una serie di coordinate stilistiche a dir poco sfruttate, il livello di composizione si presenta minimale e ancora con poca personalità. Certo, l’horror rock non è genere che possa ambire a particolari lampi di genio: a partire dai Misfits ed Alice Cooper, passando per Wednesday 13, Rob Zombie e per finire persino ai loro compari d’etichetta Ragdolls, le nuove idee in un filone fortemente “codificato” come questo, non sono mai fluite copiose.
Eppure, con il giusto equilibrio tra immagine, suoni e pezzi ben strutturati, le cose buone sono spesso arrivate: un equilibrio che agli Splatters manca ancora in larga misura e che, a fronte di brani tutto sommato canonici nella loro anima “grandguignolesca”, si prospetta come una carenza piuttosto grave.
La speranza di divertirsi con schitarrate rombanti, melodie che entrano in testa come la proverbiale ascia bipenne e cori strappaorecchie, naufraga sbattendo contro gli scogli di una banalità forse troppo diffusa, caratteristica che induce a qualche sbadiglio ed alla sensazione tipica del deja-vu: dopo pochi istanti, si è già capito tutto della canzone ed un pizzico di noia non può che farsi strada.
Gli esempi utilizzabili per rendere chiaro quanto descritto, potrebbero essere due su tutti: “Die In Leather Jacket” e “Why Do The Always Die In This Way?”, sono pezzi heavy rock monocordi e ripetitivi, salvati qua e la, solo da qualche trovata solista delle chitarre.
Potremmo poi muovere alcune critiche nei confronti della voce del singer Drow, talvolta persino forzata nel tentativo di assumere tonalità gutturali e sporche, alla rincorsa del solito Lordi e dei classici seguaci del cantato horror rock. Ma in fondo, può anche andar bene così.
Sarebbe forse eccessivo, considerando che il genere non chiede, in effetti, molto di più.
In una panoramica che non mostra attualmente grandissimi valori, il quartetto ha tuttavia dalla propria una buona preparazione di base. La probabile giovane età non impedisce di mostrare padronanza degli strumenti, esternata attraverso qualche assolo di pregio e l’espressione di una ritmica spesso precisa e sicura. Nessun dubbio che, con il supporto di una qualità di composizione più ispirata e di suoni finalmente decenti, questo potrebbe rappresentare un autentico valore aggiunto in grado di rendere gli Splatters molto più appetibili di quanto non al momento.
Nonostante una certa fetta della critica abbia bizzarramente descritto con toni quasi trionfalistici ed iper favorevoli la prima fatica del gruppo mantovano, l’invito è di non farsi prendere dai facili entusiasmi: il confronto, anche minimo, con larga parte delle schiere di artisti presenti sulla scena è, per ora, impietoso.
Genuina spontaneità, poca voglia di prendersi sul serio e zero pretese sono senza dubbio elementi che aiutano nel suscitare molta simpatia ed un feeling benevolo.
Dando però per scontato, che gli Splatters non abbiano deciso di mettersi a far dischi con il solo intento di strappare qualche sorriso, ma più propriamente, per il desiderio di costruire qualcosa di fruttifero e significativo in ambito musicale, l’affinamento e le migliorie della propria proposta appaiono – allo stato attuale – quanto mai necessarie e di importanza del tutto prioritaria.
Al contrario, il futuro non potrà che presentarsi come un’incognita per lo più indecifrabile.
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Tracklist:
01. Intro
02. Killer Clown
03. Welcome To Zombieland
04. Here Come The Monsters
05. Die In A Leather Jacket
06. Hope
07. Why Do They Always Die In This Way?
08. Sinner In Heaven
09. My Lucky 13
10. Minotaury
11. Dark Way
Line Up:
Drow — Voce / Chitarre
Alex Damned — Chitarra / Cori
Mr. Sprinkler — Basso / Cori
Paul Destroyer — Batteria