Recensione: Fear Of Tomorrow
Speciale Artillery – Puntata I
È l’alba del 1982 quando un teenager di Copenaghen, fanatico della NWOBHM e aspirante batterista, decide di formare una propria metal band: no, non stiamo parlando di Lars Ülrich e dei futuri colossi Metallica, ma di Carsten Nielsen e degli Artillery, fondati insieme all’amico Jørgen Sandau, promettente axeman.
Le prime registrazioni in studio risalgono al novembre dello stesso anno, quando viene finanziato autonomamente il demo We Are The Dead, ormai merce rara dei collezionisti più accaniti: la prima incarnazione della band è completata dal cantante Per Onikin (poi all’opera con Force Majeure e Stonehenge) e dai fratelli Stützer, seconda chitarra e basso. Il risultato ottenuto è piuttosto lontano dall’eccellenza raggiunta negli anni a venire, ma resta un significativo trampolino di lancio per un gruppo che, specialmente nel Vecchio Continente, è tra gli assoluti precursori di un nuovo modo di suonare heavy metal.
Sfortunatamente nessuna label pare interessarsi ai servigi degli Artillery, che devono attendere la pubblicazione di altre due demo-tape (Shellshock e Deeds Of Darkness, registrati con il ben più scarso Carsten Lohmann alla voce) prima di smuovere le acque nella scena europea e ottenere un primo, meritato successo a livello underground. Sul finire dell’84 un’ulteriore cambio di line-up porta alla corte dei danesi il giovane Flemming Rønsdorf, singer dotato di uno stile particolarissimo che farà la fortuna del five-piece di Taastrup: il salto di qualità è evidente nella quarta registrazione auto-prodotta, che non passa inosservata e vale alla band un prezioso contratto con un gigante discografico.
L’etichetta si chiama Neat Records, gloriosa label in cerca di rinfrescare il proprio catalogo, ed è la primavera del 1985: sono già passati due anni dal terremotante Kill’em All, seguito a ruota dagli altrettanto validi debutti di Slayer, Sodom, Destruction (per citare i nomi più celebri) e gli Artillery non possono più stare a guardare.
Time Has Come: ‘è giunta l’ora’, come recita emblematicamente l’opener di Fear Of Tomorrow. L’album è registrato e mixato in due mesi agli El Sound Studios di Copenaghen, ed eredita orgogliosamente il titolo dalla precedente demo-tape, da cui sono estratti sei brani che vanno ad aggiungersi ai tre inediti scritti per l’occasione.
Sin dalle prime note del platter si capisce che i danesi sono destinati a lasciare il segno: il genere proposto è infatti piuttosto distante dalla media delle produzioni contemporanee, e, sebbene l’influenza di un certo heavy metal classico riaffiori in più di una circostanza, si rivela dannatamente originale e coinvolgente. Gli Artillery formato 1985 sono una band a metà strada tra lo speed e il thrash metal, capaci di alternare con classe passaggi dall’incedere cupo e possente a ripartenze assolutamente letali, il tutto condito con una precisione e una capacità tecnica non comuni, almeno a livello europeo: pregevole, a questo proposito, il lavoro delle due chitarre, puntuali come orologi svizzeri nei duelli, e della sezione ritmica, seppur penalizzata da una produzione grezza e ruvida che oggi farebbe la gioia dei gruppi old-fashioned. Più che valida anche la prestazione dietro al microfono di Rønsdorf – la cui ugola graffiante ricorda in alcune occasioni il Rock & Rolf d’annata (singer dei pirotecnici Running Wild) – ma il biondo singer ha ancora ampi margini di miglioramento, come si vedrà nelle successive prove discografiche.
È il rumore assordante di una mitragliatrice a dare il benvenuto all’ascoltatore, poco prima che un arpeggio acustico dalle note sinistre (entrambi stilemi abusati in molti dischi dell’epoca) faccia da preludio alla già citata Time Has Come, prima traccia del full-length: il brano si sviluppa su una coppia di riff quadrati, lineari e potenti che accompagnano vivacemente la voce di Rønsdorf, abile nel passare da vocals sguaiate ad un cantato più oscuro ed emozionale; memorabile il break centrale, tutto giocato su un mid-tempo semplice ma veramente efficace: cinquanta secondi di pausa prima che la band riprenda la propria corsa a tutta velocità. Velocità che non accenna a diminuire con la luciferina The Almighty, marziale nel suo incedere e dotata di un testo tradizionalmente poco ortodosso, a partire dal refrain (I will make you burn / From Hell there’s no return / I will make you burn / So you will have to learn), che causerà non pochi inconvenienti ai cinque danesi. Un poker eccezionale è completato dalla terza traccia, Show Your Hate, che introduce sonorità più cupe e apocalittiche (il proto-growl del vocalist è ideale per le confessioni di un serial killer) e dalla successiva King Thy Name Is Slayer, che azzarda sonorità care al doom metal più classico, salvo poi ritornare su binari più congeniali al sound di Fear Of Tomorrow. Il primo lato del disco racchiude il meglio di quanto proposto dagli Artillery nei primi anni della propria storia: riff pesanti come un macigno, accelerazioni repentine ed un gusto evidente per partiture sempre più complicate che verrà sviluppato nelle future registrazioni.
Il resto delle composizioni si mantiene sommariamente sugli stessi livelli, senza evidenti cadute di tono: degni di menzione sono almeno altri due brani, ovvero la velocissima Into The Universe e la lunga, contorta Deeds Of Darkness, aperta da un riff debitore ai Black Sabbath più ispirati che sfocia successivamente in una travolgente cavalcata metallica. Spetta a questa canzone il compito di congedare l’ascoltatore: Fear Of Tomorrow è tutto sommato un ottimo album d’esordio, penalizzato da un’inadeguata distribuzione della Neat (che non si renderà mai conto del potenziale del gruppo) e solo marginalmente da una produzione non all’altezza del materiale registrato.
Uscito nell’estate del 1985, il primo full length targato Artillery riscuote un discreto successo a livello di critica e pubblico, ma non cambia sostanzialmente le carte in tavola: la band danese manca il colpaccio, anche se una nuova occasione si ripresenterà due anni dopo, con l’uscita di Terror Squad. Ma di questo parleremo nella seconda puntata.
Line-up:
Flemming Rønsdorf – lead vocals
Michael Stützer – lead guitar
Jørgen Sandau – rhythm guitar
Morten Stützer – bass
Carsten Nielsen – drums
Track-list:
01 Time Has Come
02 The Almighty
03 Show Your Hate
04 King Thy Name Is Slayer
05 Out Of The Sky
06 Into The Universe
07 The Eternal War
08 Fear Of Tomorrow
09 Deeds Of Darkness