Recensione: Feast at the Forbidden Tree
Non ci perdiamo in chiacchiere, questo ‘Feast at the Forbidden Tree’, terzo album degli statunitensi Black Mass, disponibile via Redefining Darkness Records dal 10 settembre 2021, è un ottimo lavoro.
Si tratta di uno Speed-Thrash palesemente Old School, se oggi è ancora giusto definirlo così.
Facciamo questa riflessione: si è cominciato ad usare molto questo aggettivo all’inizio del nuovo millennio, per sottolineare il ritorno alle originali sonorità da parte di molte band appartenenti agli anni ’80. Questa cosa è piaciuta ed il momento di crisi degli anni ’90 è stato superato con una conseguente nascita di nuove giovani leve che hanno cominciato a suonare come i loro idoli. All’epoca era giusto parlare di Thrash Old School, niente da dire.
E’ passato oltre un ventennio, le vecchie band ci sono più o meno tutte e quelle che hanno raggiunto quota 100 tirano ancora da bestie. Sulla loro scia, il numero di nuovi gruppi è cresciuto a dismisura, tanto è vero che, riferendosi alla scena Thrash odierna, si usa anche dire che “c’è più gente che suona che gente che ascolta” (non penso sia vero, però rende l’idea).
Il livello medio di preparazione tecnica è molto alto, ma il songwriting continua ad essere radicato nei primi anni ’80, con pochi tentativi di mutamento, quasi sempre di ottima fattura, ma più che altro episodici (partendo dal presupposto che le band sono migliaia).
Anche se la scena di oggi non può dirsi un vero e proprio movimento, in quanto non coinvolge gli aspetti sociali e culturali con la stessa dirompenza di un tempo, possiamo però parlare di una nuova generazione di Thrasher, legata fortemente alla voglia di suonarlo lasciando evidenti le influenze dei capostipiti. A mio parere non è più ‘Thrash Vecchia Scuola’, ma il Thrash di oggi, con poche novità dentro, ma suonato all’ennesima potenza.
Questo suonano i Black Mass: in loro si sente la stessa voglia che avevano i Venom di creare più disordine sonoro possibile, unita alla feroce sfacciataggine dei primi Metallica e Destruction e ad una palese voglia di aggiungerci del loro, di distinguersi generando una cascata di note, densa e continua, che colpisce l’ascoltatore dall’alto ad una velocità folle e con forza brutale, generando un impatto devastante.
L’album è composto da otto canzoni malvagiamente aggressive, suonate essenzialmente a velocità spasmodica e cantate con voce demoniaca e furiosa. L’impatto maggiore è dato dai lunghi interludi improntati su una compattezza ritmica massacrante e che, grosso modo, contraddistinguono la maggior parte dei pezzi. E’ qui che si sente maggiormente la furiosa personalità della band, il loro tratto distintivo.
Sono un po’ trascurati gli assoli … vengono privilegiati quelli brevi e sclerotici, mentre di lunghi ce ne sono pochi. Peccato, perché sono validi e coinvolgenti.
Il songwriting è diretto ma vario, con buoni cambi di tempo e senza pause. I Black Mass cominciano a martellare da metà intro (nel senso che la prima parte è atta a generare ansia ed a farti entrare nel loro maligno mondo) e non si fermano fino alla fine.
Non c’è un brano che non tira. Tra questi si elevano per particolare fattura ‘Unfoly Libations’, ‘Nothing Is Sacred’, la ballad ‘They Speak in Tongues’ (… ah ah, non è vero … è solo la canzone meno veloce del lotto) e ‘Betrayal’.
Ottima la scelta produttiva: pulita quel che basta per dare evidenza delle capacità di ogni singolo artista senza essere troppo pompata.
Concludendo, come già detto agli inizi, ‘Feast at the Forbidden Tree’ è un ottimo lavoro, una ventata di aria rovente che colpisce con forza facendo terra bruciata intorno. Assolutamente da ascoltare e da inserire nella propria discografia. Black Mass: avanti così!