Recensione: Feast For Water
Nel buio di una notte d’aprile, una timida, fredda brezza accarezza il viso di quattro musicisti. In perfetto equilibrio sul cornicione del campanile che dà il volto al precedente “Belfry”, i Nostri compiono un salto nel vuoto per congiungersi alle acque oscure che circondano l’obelisco della consapevolezza e dell’ormai passato. I Messa si amalgamano all’essenza che genera la vita, celebrando questa fluida trasparenza con “Feast For Water”, il secondo album di una band dalle altissime potenzialità che non tradisce le attese.
La sorgente dalla quale sgorga il disco è posta nelle profondità di un contesto decisamente raffinato che contribuisce alla limpidezza degli otto incantevoli brani. La peculiare eleganza sonora è la sensazione più evidente che si percepisce al primo ascolto dell’album. Man a mano che l’acqua scorre le emozioni si ramificano come un fiume coi suoi affluenti, generando una rete di concreto stupore.
L’abisso inizia a zampillare attraverso l’influsso della divinità egizia che, nell’antico Egitto, rappresentava la femminilità delle acque primitive: ‘Naunet’. Il tiepido intro, nel quale ribollono fascino e mistero, è dunque il preludio ad una lunga apnea sensoriale che edificherà sinuosi brividi nel proprio io. La simbiosi tra uomo ed acqua avviene dolcemente, una sintonia accompagnata dalla morbida voce di Sara che ricama l’inizio di ‘Snakeskin drape’. Il primo brano è immerso in una ritmica ruvida e coinvolgente nella quale nuotano rotondità sonore dall’aspetto serpeggiante che si stringono ad un ritornello facilmente assimilabile. Il sound degli anni ’70 si rispecchia spesso nella creatura Messa, una caratteristica che contraddistingue l’intero disco senza esserne il punto fermo. La band nostrana, infatti, ha affinato la propria dote compositiva esprimendo solidità e ricercatezza sonora. I Nostri intingono le loro estremità artistiche nell’oscurità del doom che viene trafitto dai bagliori purpurei del blues ed offuscato dai fumi di alcolici e sorprendenti intrecci stoner e jazz.
Come lupi assetati, imbiancati dalla luna, ci si ritrova sulle rive di “Feast For Water” a leccare la quiete di una poesia che galleggia sulla superficie dell’acqua, per poi essere sorpresi dall’impeto di chitarre imbizzarrite spesso domate da incantevoli atmosfere che generano onde malinconiche. Sulle creste spumose dei flutti oscuri restano sospesi pezzi come ‘Leah’ e ‘The Seer’ che contrappongono la quiete alla tempesta, conciliando sonorità alla Black Sabbath all’eleganza di concentriche sezioni blues a sei corde. La bellezza di questo nuovo lavoro della band veneta risiede nell’imprevedibilità: il loro esclusivo specchio d’acqua, per quanto lo si conosca, baciato dalle tenebre trasmette un’inquietudine infinita dovuta alla mancanza di orientamento e visibilità. ‘She Knows’ infonde nell’aria quell’eleganza inaspettata dipinta con i colori tenui di un piano Rhodes che ricalca il bianco e il nero dei suoi tasti sul foglio del passato ma anche sulla notte corrente. La candida voce passionale trasmette una quiete tenace sulla quale si struscia un gatto nero dai fremiti plumbei e magnetici che infondono emozioni. Le auree effusioni sonore, che scaturiscono dal genio dei Messa, evocano uno stato d’animo siderale in cui la memoria vorrebbe rimanere intrappolata per sempre. Ad impressionare ulteriormente l’ascolto di “Feast For Water” è la bellezza della funambolica ‘Tulsi’: un combo di disarmante splendore dove il subconscio dilaga, come una macchia d’olio profumato, in un’immaginaria disputa tra cielo ed acqua. Vorticose sezioni sonore cadenzate si tramutano in trepidanti accelerazioni che lambiscono il folto manto del licantropo black metal. La violenza della pioggia si combina con la rabbia delle onde generando un’esplosione ritmica furiosa, attenuata dalla voce di un angelo e dal suono ammaliante di un sax che, come un buco nero, inghiotte il caos al suo interno trasformandolo in note dorate. ‘White Stains’ è la pietra spigolosa di un denso doom che colpisce la superficie del lago. Un tonfo che tuona in riff compatti e tortuosi intervallati da pacate sonorità concentriche che si propagano sul filo dell’acqua, spinte lontano da un intenso assolo di chitarra. L’album si chiude con la strumentale ‘Da Tariki Tariqat’ (frase sufica ‘Nell’oscurità, il Sentiero’), una sorta di viaggio mistico, una rifrazione dell’anima in una dimensione che ci appartiene ma che non conosciamo del tutto. Le vellutate sonorità ipnotiche si arenano su armoniose spiagge dalle fragranze orientali: una visione onirica che appare come il presagio ad una nuova esplorazione nell’ignoto.
I Messa riemergono dalle sorprendenti acque di “Feast For Water” consapevoli di aver ritrovato il prezioso amuleto dal quale è scaturita quella magia che li porterà lontano, sulla rotta di un nuovo sogno da avverare.
Per ora, godiamoci questo prodigioso tuffo nella realtà.