Recensione: Feedback
I Rush che non ti aspetti.
I Rush che con grande umiltà pagano dazio alle proprie origini, giocando alla macchina del tempo che li proietta dritti dritti nel 1966, quando, sbarbatelli ma spensierati come oggi, iniziavano a confrontarsi col rock’n’roll, ignari del fatto che il loro nome si sarebbe legato leggendariamente al genere che ascoltavano.
E allora quale miglior occasione del trentennale per pubblicare un EP di cover di quelle band che quarant’anni orsono vivevano nei giradischi dei tre canadesi?
E’ la prima volta che i Rush incidono materiale di altri, e i motivi alla base della scelta dei pezzi sono da ricercare, oltre che nel carattere affettivo sopra accennato, all’importanza storica che essi hanno esercitato nella vita di un genere – il rock – che ha visto negli anni diverse rinascite e rivoluzioni, dovute quasi sempre alle sperimentazioni sonore.
Ai Rush, che in 17 studio album non possono certo dirsi estranei alle sperimentazioni, l’osservazione non deve risultare troppo scomoda, e decidono di concentrarsi su una delle tante facce del rock, quella che deve aver dato il via, negli anni ’60, a molte delle diverse correnti e praticamente tutti i sottogeneri, tra cui il nostro amato Heavy Metal.
Sto parlando del Blues, o meglio il Blues Rock: non certo quello dei vari Elvis Presley o Jerry Lee Lewis, bensì quello più di nicchia, pregno di sperimentazioni e “stranezze”. Si tratta ad ogni modo di brani epocali e arcinoti, riproposti in uno stile particolare, a metà strada tra il vecchio sound vinilico e il modernismo dei Rush (ricordo che i Rush avevano un sound “moderno” già all’epoca del secondo album, quel “Fly By Night” del 1975): la soluzione è perfetta per una cover, poiché riesce a non snaturare il brano dalla sua essenza originale, e allo stesso tempo conferirgli la personalità dell’esecutore, inconfondibile nel caso dei nostri.
E allora ecco che “Summertime Blues”, 45 giri del 1958 in grado di reinventare il suono della chitarra ritmica gettando il seme delle sfuriate metalliche di “qualche” anno dopo, è l’opener ideale per celebrare il genio di Eddie Cochran, scomparso prematuramente a 21 anni e adombrato dall’imponenza di quell’Elvis cui tanto somigliava (sia fisicamente sia nel modo di suonare).
Troverete quindi in Feedback due pezzi dei The Yardbirds. Il primo, “Heart Full Of Soul” fu un fortunato 45 giri del ’65, mentre il secondo, “Shapes Of Things”, fu l’ultima vera hit blues della band, tratta da “New York City Blues”, dell’anno seguente. Entrambi i pezzi risaltano per la loro psichedelia, e soprattutto “Shape Of Things” vi inebrierà per il suo crescendo ritmico in cui apprezzerete al massimo la trama tellurica e melodica al tempo stesso tessuta da Peart, Lee e Lifeson.
Non potevano certo mancare i The Who, e non quelli ovvii, commerciali e seriosi di “Tommy”, ma quelli alternativi e maligni di “The Seeker”, gioiellino blues/country rock del 1969.
Si prosegue con due brani dei Buffalo Springfield, e anche qui ci imbattiamo nello spirito rivoluzionario del rock: “For What It’s Worth”, da Buffalo Springfield (1968), è divenuto un inno di protesta, mentre “Mr. Soul”, da Buffalo pringfield Again (1969) risulta rinvigorita dal ricambio d’aria marcato Rush, alleggerita soprattutto nella cupezza del mood originale.
Fa storia a sé “Seven & Seven Is”, caposaldo del garage-rock e del punk-rock, tratto dall’album del 1967 Da Capo, dei Love. La song è tambureggiante, e nelle sue fasi concitate si ritaglia il suo spazio un grande, manco a dirlo, Neal Peart.
Ultima ma non ultima, la struggente “Crossroads” dei Cream, tratta dal doppio Wheels Of Fire del 1968, ancora psichedelia elettrica, ma da mille e una notte.
Un EP di cui nessuno, forse, sentiva il bisogno. Un segno da cui tutti, però, rimarranno colpiti. Una conferma. Forse un saluto… Forse l’ultimo, visto che è proprio il caso di dire che il cerchio si è chiuso.
Tracklist:
- Summertime Blues
- Heart Full Of Soul
- The Seeker
- For What It’s Worth
- Mr. Soul
- Shapes Of Things
- Seven & Seven Is
- Crossroads