Recensione: Feeding The Abscess
Il terzo disco in genere viene visto come quello della consacrazione, dove la band se ha veramente delle idee, se è veramente dotato di quel quid in più che possa ergerli al di sopra della massa, ha la vera occasione per dimostrarlo. Bene, per i
Martyr di Feeding The Abscess si presenta proprio questa situazione: confermare quanto di buono dato in pasto al pubblico metal tramite
Hopeless Hopes, ottimo disco, e Warp Zone, che è un po’ il platter che ha dato loro la giusta visibilità oltre a mostrare una prima evoluzione di sound. Bene, trascorsi ben sei (!) anni dal precedente lavoro, i
Martyr capitanati da Daniel Mongrain, voce e sei corde della band, finalmente si ripropongono dall’alto del loro background musicale con un’opera che sancisce, a mio avviso, la loro definitiva maturità. In tutta sincerità allorché misi il cd nel lettore mi aspettavo un lotto di pezzi sulla falsa riga stilistica di
Warp Zone: un platter cioè molto compatto, sorretto da strutture ritmiche da manicomio, inserti melodici di ottima fattura, e la solita loro aggressività. Il nuovo materiale non perde un grammo da quest’ultimo punto di vista, non trascura le peculiarità poc’anzi snocciolate, ma aggiunge una massiccia dose di stacchi jazz, il che non nascondo che per i meno avvezzi al tipo di genere proposto dai
Martyr potrà fungere da veicolo sì di curiosità, ma allo stesso tempo da piccolo scoglio che verrà col tempo superato proprio in virtù della prima delle due reazioni, che porterà a volerne assimilare il contenuto.
La sperimentazione cui si sono indirizzati i Martyr potrebbe risultare troppo prolissa, esageratamente pretenziosa, ma a differenza di molti altri gruppi che intraprendono questo tipo di strada, i ragazzi non perdono mai la bussola delle proprie composizioni imprimendo sempre una certa coerenza di fondo ai vari pezzi, cosa che non può fare altro che lasciare basiti: capaci di fondere alla
perfezione lo stile degli svedesi Meshuggah piuttosto che dei connazionali Quo Vadis, i Martyr mettono oltretutto in pratica la lezione impartita dai maestri da cui hanno innegabilmente attinto, gli Atheist, rimanendo assolutamente distinguibili fin dalle prime note ed evidenziando una personalità mostruosa.
E’ assolutamente impresa improba procedere in una descrizione track by track, ad ogni modo è utile notare come, per esempio, una traccia come
Perpetual Healing (Infinite Pain), pur partendo dai connotati tipici delle loro vecchie composizioni, eretta cioè su un muro di suoni poderoso e da ritmiche in controtempo gustosissime, si evolva secondo quella che è la nuova anima maturata dalla band, capace di inserire splendidi stacchi progressive, mentre con
Feast Of Vermin si avrà un assaggio dell’incredibile capacità dei canadesi di operare una commistione tra death metal e fusion senza comunque eccedere col rischio di fare perdere di vista la struttura portante del pezzo.
Nameless, Faceless, Neverborn la trovo geniale ancora una volta per il motivo di cui sopra: trame chitarristiche potentissime, sezione ritmica portentosa, ed il tutto ha comunque la capacità di reggere assoli che potrebbero tranquillamente essere suonati da band appartenenti a tutt’altro background musicale; stessa cosa potrebbe dirsi di
Silent Science, che rasenta la perfezione dei Martyr targati 2006.
Da notare poi la presenza di una canzone, Dead Horizon, divisa in atti; si compone infatti di quattro episodi:
Echoes Of The Unseen, Romancing Ghouls, il breve interludio Stasis Field
e la folle Shellshocked, che mette in luce molte delle loro caratteristiche portandole all’esasperazione tramite riffing tipicamente progressive uniti all’estremismo death metal ma anche ai campionamenti che qui, come lungo l’arco dell’intero full length, compaiono in maniera del tutto timida e poco invasiva.
Per chiudere il discorso i Martyr scelgono di inserire una Brain Scan (cover dei
Voivod, loro connazionali) perfettamente eseguita e che pare quasi ricordare come il Canada non dico annoveri i padri, ma quantomeno molti degli esponenti di spicco del metal più sperimentale e folle.
A mio avviso tra i dischi di migliori del 2006, Feeding The Abscess è da fare proprio se si ama il death metal tecnico. Il rammarico è che la band in questione non sia molto prolifica, ma se l’attesa verrà ogni qualvolta ripagata da uscite di questo genere, varrà ben la pena di aspettare.
Tracklist:
1. Perpetual Healing (infinite Pain)
2. Lost In Sanity
3. Feast Of Vermin
4. Interlude – Desolate Ruins
5. Havoc
6. Nameless, Faceless, Neverborn
7. Silent Science
8. Felony
9. Dead Horizon Part I : Echoes Of The Unseen
10. Dead Horizon Part II : Romancing Ghouls
11. Dead Horizon Part III : Stasis Field
12. Dead Horizon Part IV : Shellshocked
13. Brain Scan
Lineup:
Daniel Mongrain – Voce, Chitarra
Martin Carbonneau – Chitarra
Francois Mongrain – Basso, Voce
Patrice Hamelin – Batteria