Recensione: Fell From Grace

Di Stefano Burini - 17 Dicembre 2013 - 15:55
Fell From Grace
Band: V
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2013
Nazione:
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71


Demo come “Fell From Grace” degli spoletini V, appartengono alla specie che il recensore di turno certamente riceve con maggiore soddisfazione. Niente proclami, nessun sapore di affettato od artefatto, solo musica, grezza, genuina e con quel quid di ignoranza (nel senso più amichevole possibile del termine) che ad un opera prima autoprodotta non dovrebbe mai mancare. Già, perché il terzetto umbro composto da Valerio Lanieri (voce e chitarra), Filippo Capponi Brunetti (basso) e Alessio Silvioli, pur non proponendo un prodotto impeccabile dal punto di vista della tecnica, della registrazione e men che meno della confezione, mette sul piatto della bilancia una spiccata personalità e un pugno di idee decisamente interessanti e, alla fine, è questo ciò che conta veramente.
 
Accingendosi all’ascolto, “The Good The Bad And The Whore” si presenta come un’intro strumentale di matrice western à la Ennio Morricone (come d’altronde il titolo lascia ampiamente intendere). Niente male, ma piuttosto fuorviante in rapporto al contenuto dell’album: un hard rock dalle decise venature stoner i cui elementi stilistici maggiormente distintivi vengono a galla sin dalle prime note della successiva “Endless Night”. Da un lato la voce Ian Astbury-ana di Valerio Lanieri, tecnicamente imperfetta quanto materialmente efficace e in grado di creare un accostamento piuttosto particolare allorché sovrapposta a sonorità di questo tipo; dall’altro lato, la bravura di tutti e tre i musicisti nel coniugare il filone principale con inserti provenienti da altri (sotto)generi. Nascono in questo modo canzoni molto energiche e riuscite come la citata “Endless Night” o la successiva “Forever Gone”, nelle quali le distorsioni tipicamente stoner procedono di pari passo con influenze ritmiche di stampo hard rock, ma anche brani, come la title track, in cui l’influenza dell’heavy doom, sognante e primordiale, dei primi Black Sabbath si fa sentire in tutto il suo oscuro splendore.
 
Proseguendo, e imbattendoci nella più oscura e “cattiva” “The King”, giungiamo all’unico brano in cui, pur in presenza di chitarre acustiche che rimandano al rock psichedelico, i V lambiscono territori affini allo sludge, mentre “Friends With Misfits” è la più leggera di tutto l’album: un rock a tinte alternative, cantilenante e tutto sommato piacevole pur in assenza di guizzi. L’ottima “Failbait”, un bel mix di stoner ed hard blues settantiano condito da un pregevole assolo di chitarra, ci conduce, poi, verso il finale, affidato a due lunghe suite. Dapprima l’acustica e (invero un po’ lunga e forse nemmeno troppo a tema) “Asinaria”, cantata in maniera sommessa dalla guest vocalist Livia Perosino, seguita dall’ambiziosa ma un po’ disordinata “Henrietta Boned”, nella quale confluiscono stoner, sludge/doom, alternative metal e rock ‘n’ roll con risultati non del tutto convincenti.
 
Ci sono ancora parecchia strada da fare e tante potenziali idee da sviscerare al 100%, eppure l’humus sul quale i V hanno deciso di far germogliare la loro creatura è di quelli “buoni”. Apprezzabile, quindi, la volontà di percorrere sentieri personali così come i risultati finora ottenuti, per quanto passibili di miglioramenti; per il futuro l’augurio per la band è di perfezionare al massimo ciò che già riesce loro bene (come le tracce più brevi, dirette e ritmate o quelle in cui si inenstano elementi acustici/psichedelici) e di lavorare invece duro sullo sviluppo dei brani più lunghi e articolati, per i quali forse non è ancora stata raggiunta la giusta maturità. Avanti così.

Stefano Burini

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