Recensione: Fenice
“Fenice”, questo è il titolo, tanto simbolico quanto evocativo, del nuovo album degli Ufomammut, di recentissima uscita su Neurot Recordings, l’etichetta indipendente dei Neurosis che, oltre a loro, annovera nel proprio rooster alcuni tra i pesi massimi della scena Doom/Sludge contemporanea come Amenra, Dark Buddha Rising, Correction House e Buried At Sea. Titolo evocativo e simbolico si diceva: sì perché proprio come l’Araba Fenice, uccello mitologico considerato capace di risorgere dalle proprie ceneri, allo stesso modo gli Ufomammut si sono risollevati da un periodo segnato da profonde difficoltà, uscendone rigenerati e, in qualche modo, trasformati.
Dopo una lunga fase di problemi e incomprensioni, culminate con la defezione del batterista e membro fondatore Vita, a inizio gennaio 2020, dopo 21 anni di attività, la band ha deciso di spegnare i motori annunciando una fase di hiatus che, fortunatamente, si è interrotta l’anno successivo. Nel 2021 infatti Urlo (basso, tastiere e voce) e Poia (chitarra) si sono rimessi in pista con il contributo di Alessandro Levrero (Levre), già tecnico di palco e marchandise manager del gruppo, dietro alle pelli.
Accostandosi a “Fenice” si avvertono immediatamente quelli che sono i semi della rinascita, quei tratti distintivi di un nuovo inizio che, pur non determinando un taglio netto con il passato, introducono elementi di discontinuità rispetto alla proposta pregressa del power trio di Tortona. Uno di questi è l’utilizzo molto più consistente delle linee vocali, che acquisiscono ora un ruolo di primo piano nell’economia dei brani. Altro aspetto non meno rilevante è che, ad eccezione della opener, assistiamo a una generale semplificazione della struttura delle composizioni che, meno articolate che in passato, approcciano lo Stoner/Doom in modo più diretto e tradizionale. Ciononostante, le 6 track di “Fenice” generano una tensione continua al movimento e all’evoluzione, anche grazie a una produzione in grado di catturare e restituire non solo il fragore di chitarra, basso e batteria, ma anche i suoni sfaccettati di effetti e synths.
Riverberi, effetti e voci distanti costituiscono la lunga introduzione di “Duat”, un episodio strumentale solido e convincente in cui si ritrovano gran parte degli ingredienti del back catalogue dei Nostri: muri di suono lisergici, costrutti elaborati e cambi di tempo, con gli ultimi 2 minuti che ci ricordano il motivo per cui la band è amata dagli headbangers di tutto il globo.
Da qui in avanti emerge più chiaramente il rinnovato volto degli Ufomammut che, come si diceva, in questa occasione sembrano prediligere strutture più lineari. “Kepherer” è un interludio Ambient che prepara il terreno per “Psychostasia”, una traccia che si divide tra la psichedelia hawkwindiana della prima stralunata sezione e la tirata Stoner/Doom della seconda. Dopo una lunga intro, “Metamorphoenix” procede come un mantra ipnotico e ripetitivo, con la voce che rimane pulita per gran parte della sua durata per trasformarsi in urla nel finale esplosivo. “Pyramind” ripropone senza significative innovazioni, ma con tutta la classe e la personalità tipiche del combo, l’essenza dello Stoner/Doom, alternando passaggi roboanti dal riffing devastante a momenti più pacati e psichedelici. La breve closer “Empyros” si pone in continuità stilistica con il brano che la precede, mantenendosi però su registri heavy per tutta la sua durata. Assistendo all’esibizione degli Ufomammut del 14 maggio al Bloom di Mezzago in cui “Fenice” è stato eseguito per intero, ho potuto constatare come l’album sia molto convincente anche nella sua dimensione live.
Come spesso accade in questi casi non mancheranno i paragoni con il passato e le critiche dei nostalgici e, intendiamoci, va bene così! Personalmente apprezzavo la versione precedente degli Ufomammut e sono altrettanto entusiasta della nuova incarnazione di questa band, che con “Fenice” dimostra di avere ancora molto da dire…