Recensione: Festival of Death
“…the Executioner grips the massive mallet and steps behind out of sight
aiming striking one tremendous blow on top of the head…”
Trovandomi in difficoltà nel cominciare l’analisi di Festival of Death
ho preferito riportare qui uno dei tanti versi in cui violenze, torture e
sadismo vengono descritte in modo didascalico, macabramente freddo, facendoci
partecipi di un mondo di inumane sofferenze e soprusi, da cui, una volta
entrati, la morte era la soluzione più rapida e auspicata per uscirne. La
passione per le torture medioevali perversa anche in questo secondo disco dei
Brodequin, terzetto proveniente da Knoxville (Tennessee), che dopo
Instruments of Torture, ripropone la dissacrante ricetta che li ha portati
ad assumere una posizione dominante nel panorama più estremo.
Festival of Death è brutale, ferocia allo stato puro, una furia
inesorabile di blast-beat, gorgoglii fangosi, riff in continuo movimento,
accelerazioni brucianti e rallentamenti micidiali. Una mazzata, né più né meno,
in cui anche le parole vengono messe a tacere dall’incedere forsennato delle composizioni,
brevi ma incredibilmente intense, in cui la maestria di questi musicisti spicca
in tutta la propria potenza. Maestria nel saper rendere il sound compatto e
sorprendentemente dinamico, tralasciando tutto il superfluo e concentrandosi
unicamente sull’annientamento sensoriale dell’ascoltatore, quasi attonito di
fronte a tanta violenza sbattuta in faccia in modo così diretto. Jamie Bailey
al basso e voce (voce?), Mike Bailey alla chitarra e Chad Walls
alla batteria, un terzetto entrato nelle grazie di tutti gli appassionati,
sufficienti per creare un muro sonoro che ha ben pochi eguali.
Teatro di questo massacro sono i testi a dir poco spietati che i Brodequin
riportano in modo impersonale, quasi una sorta di cronaca della sofferenza dei
malcapitati durante le sedute di tortura; del resto anche il monicker degli
americani è ispirato da una “procedura” francese (molto in voga nel 18esimo
secolo) che consisteva nel fasciare le gambe dell’imputato con delle assi di
legno, porvi un cuneo fra le ginocchia e martellarvi sopra “simpaticamente”
con un maglio ogni volta che veniva posta una domanda al processato. In
Festival of Death quindi leggeremo le fasi di una decapitazione pubblica
con tanto di folla in trepidante attesa (“…the executioner approaches
dressed in black, bloodthirsty audience awaits the mazzatello to act…”)
nell’opener Mazzatello, semplicemente un blocco di cemento che vi si posa
sul cranio, apprenderemo le gesta folli di Gilles De Rais (un nobile
francese vissuto nel 1400), dei suoi abusi e atrocità su inermi bambini, o di
una metodica disgustosa in cui venivano utilizzati dei topi da porre sull’addome
degli inquisiti, con le risate compiaciute degli inquisitori (“…Inquisitors
smile sadistically listening to the screams of the guilty.”) nella decima
Bronze Bowl, uno dei brani più ispirati dell’intero disco.
Pur avendo compiuto un salto qualitativo rispetto al precedente album, i
Brodequin non pongono con Festival of Death il definitivo
colpo di grazia (arrivato con Methods of Execution del 2004) dovendo
ancora affinare l’ispirazione -qui venuta meno in qualche frangente,
specialmente nella parte centrale del disco- e la produzione, fin troppo grezza,
tanto da non rendere giustizia all’ottima prestazione strumentale dei nostri.
Rimane comunque un album micidiale, che è destinato a rimanere “teneramente” nel
cuore di tutti i cultori del brutal più estremo assumendo lo status di classico
del genere. Non rimane molto da dire, lasciatevi sedurre dai Brodequin.
“…blood still draininig.”
Stefano Risso
Tracklist:
- Mazzatello
- Judas Cradle
- Trial by Ordeal
- Torches of Nero
- Vivum Excoriari
- Lake of the Dead (mp3)
- Blood of the Martyr
- Gilles De Rais
- Flow of Maggots
- Bronze Bowl
- Auto Da Fa