Recensione: Fil Di Ferro
C’era un tempo nel quale per incidere un disco di heavy metal in vinile nel nostro paese bisognava sputare sangue e versare lacrime. Questa situazione la conoscono molto bene band come Sabotage, Strana Officina, Astaroth, Crying Steel, Revenge, Vanexa, Vanadium, Unreal Terror, Steel Crown, Death SS, Hocculta, Fingernails, Skanners, Dark Lord, Danger Zone, Elektradrive e appunto, Fil di Ferro.
Essi sono di Torino, nascono nel lontano 1981 e poco dopo iniziano a raccogliere i primi consensi sia a livello di pubblico che a livello di notorietà. Nel 1983 fanno due apparizioni in altrettante trasmissioni della Rai in un’epoca nella quale la televisione sicuramente era più austera ed in qualche modo più seria della “cosa” vergognosa di oggigiorno. Scusate il sostantivo “cosa” ma non saprei proprio come definire un contenitore di nefandezze di così basso livello come quello che ci viene propinato dalle reti esistenti ogni santo giorno.
Nel 1986 esce il loro primo lavoro su vinile intitolato “Hurricanes“, un disco con delle buone idee ma ancora acerbo che non rappresenta il vero potenziale dei Fil di Ferro. Anche in questo caso, analogamente ad altre uscite dell’epoca, la produzione è di serie “C”. L’anno successivo il gruppo piemontese suona, insieme con altre band, addirittura nel tempio mondiale dell’heavy metal, il mitico Hammersmith Odeon di Londra. Da quella magica serata uscirà poi la compilation “Italian Rock Invasion” prodotta da Pete Hinton, autentico guru dietro la console, già molto noto per aver prodotto uno dei più grandi dischi della storia dell’heavy metal: “Wheels of Steel” dei Saxon. La serata fu poi proposta da un programma molto interessante dell’epoca (Quindi ovviamente poi soppresso) cioè Rock a Mezzanotte su Italia 1.
Il 1988 è l’anno del disco oggetto della recensione, semplicemente intitolato come il nome del gruppo; viene registrato per le parti di percussioni alla Fonit Cetra di Milano, mentre per le restanti tracce al Medicina Studios di Bologna. Anche in questo caso alla produzione troviamo un personaggio d’eccezione: mister Guy Bidmead ( già collaboratore di artisti del calibro di Rod Steward, Yes, E.L.P., ma soprattutto Motorhead…). Rispetto al debutto discografico “Hurricanes” la resa sonora dell’intero album è di un altro pianeta e finalmente anche i biker piemontesi possono beneficiare di un sound che renda giustizia al loro talento e alla loro carica aggressiva.
Il primo pezzo che ci viene sbattuto in faccia è “Hurricanes“, solo lontano parente della versione soft presente sul disco d’esordio, qui i Fil di Ferro fanno sul serio, chitarre sferraglianti in tipico stile NWOBHM (Saxon su tutti) spianano la strada ad un brano da cantare a pieni polmoni ai motoraduni ed ai concerti. Il coro robusto “Hurricanes, Hurricanes” non vi uscirà più dalla testa; a mio parere il brano più bello concepito dai nostri in assoluto in tutta la loro storia, almeno finora.
In “Crazy Horse” si parte a ritmi decisamente più blandi con un Sergio Zara evocativo che poi esplode nell’urlo “Get Away” per un pezzo che alterna parti melodiche a mid tempo ottantiani che più classici non si può. Il terzo pezzo è “Street Boy“, che come struttura ricorda il brano che l’ha preceduto, un’ulteriore prova maiuscola del singer, dotato di una voce vissuta, scolpita da anni di sigarette, Jack Daniel’s e dai colpi di freddo che attanagliano la gola quando, a bordo di una moto custom si sfidano le intemperie del Norditalia.
Una chirarra “smorzata” che poi erutta un assolo vertiginoso lancia il Sig. Zara in un’altra song tipica della NWOBHM: “Nightmare“, questo è il titolo. Un’ascia assassina fa partire “I’m free“, ulteriore episodio nel quale il cantante dà prova di sé. Il tempo di girare il vinile ed ecco la side B che inizia con “Licantropus“, episodio nel quale convivono parti melodiche e parti più ritmate dove svetta ancora una volta Sergio Zara che dalle urla che emette è accostabile ad un vero licantropo dell’heavy metal. La classica struttura del pezzo HM di quegli anni viene proposta in “Wanted“, seguita a ruota (parlando dei Fil di Ferro è proprio il caso di dirlo ) da “Ambush” che dopo un intro vanhaleniano di chitarra si sviluppa come da copione in puro stile eighties. Altro brano iperclassico è “Professional Meeting” e si chiude in bellezza con “Dropping Down“: velocità sostenuta , chitarra lancinante, sezione ritmica potente ed il solito singer sugli scudi in un’interpretazione epica già consegnata alla storia.
Stranamente questo disco sia quando uscì che poi in seguito nelle varie rivisitazioni di classici su carta stampata e su web non ottenne l’eco che si sarebbe meritato, probabilmente solo per il fatto della sua difficile reperibilità. Se siete amanti dei suoni anni ottanta, dell’HM classico e delle efferatezze sonore della NWOBHM fate di tutto per procuravi questo disco che purtroppo ancora oggi esiste solo nella sua versione primordiale in vinile. Sia ben chiaro, i Fil di Ferro in questo LP non inventano niente, applicano alla regola tutti i dettami dei maestri inglesi del periodo interpretandoli e personalizzandoli al meglio, mantenendo una pulizia di suono di altissimo livello (Il paragone con i Saxon deriva proprio da questa loro peculiarità) il che, se mi consentite, non è poco….
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Side one
1 Hurricanes
2 Crazy Horse
3 Street Boy
4 Nightmare
5 I’m free
Side two
1 Licantropus
2 Wanted
3 Ambush
4 Professional Meeting
5 Dropping down
Line-up
Miki Fiorito – Chitarra
Bruno Gallo Balma – Basso
Sergio Zara – voce
Michele De Rosa – Batteria