Recensione: Filth Hounds Of Hades

Di Filippo Benedetto - 11 Ottobre 2004 - 0:00
Filth Hounds Of Hades
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Anno: 1982
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86

La cosiddetta NWOBHM penso sia stata uno dei movimenti più prolifici nell’ambito heavy metal, pur nella sua non lunga durata temporale. Gruppi come Iron Maiden, Saxon, Angel Witch, Holocaust, Samson, Tygers of  Pan Tang, Sweet Savage, Praying Mantis dovrebbero essere patrimonio di ogni cultore del genere (la lista sarebbe troppo lunga per citare le tante altre bands interessanti del movimento). Tra le bands fondamentali e più di culto di questa corrente musicale ritengo non possano essere menzionati i Tank, meraviglioso trio di musicisti autori di platters molto interessanti quali il debut “Filth Hounds of Hades”, “Still at war” o “Honour and Blood”. Proprio la recensione del debut dei Tank può offrire più di uno spunto per spiegare la particolarità di questo gruppo. Di particolare innanzitutto c’è la rudezza, il sound diretto e senza fronzoli di questo terzetto che per certi versi può essere considerato, a conti fatti, una versione più heavy dei più famosi Motorhead. “Filth Hounds of Hades”, uscito nel 1982, è un debut contenente songs costruite su riffs accattivanti dove l’heavy metal propriamente detto si sposa intelligentemente ad un approccio punk minimale ma mai scontato. Già a partire dalla song d’apertura, la bellissima “Shellshock”, pezzo costruito su un riffing granitico e coinvolgente. Colpisce l’inusuale intro al brano, che lascia pensare ad una sorta di canto voodoo molto suggestivo. Fin da questa track si ha l’impressione di trovarsi proprio di fronte ai “cuginetti” dei Motorhead, anche se i nostri declinano la lezione della band di Lemmy secondo la loro indole tipicamente heavy metal. Dopo questo fulminante inizio, la seconda song è un altro pugno nello stomaco: riffs veloci e spiazzanti, una sezione ritmica compatta e incalzante e vocals graffianti al punto giusto. Il pezzo scorre che è una delizia, e la percezione di trovarsi di fronte ad una band tutt’altro che ingenua nello sfruttare il proprio potenziale diventa sempre più concreta. Con “Run like hell” , la band attenua leggermente le ritmiche ma niente affatto la forza d’impatto del riffing, il cui incedere sembra quello di un immaginario “panzer” che non risparmia nessuno al suo passaggio. Anche in questo brano si denota una convincente capacità da parte della band di impostare le composizioni lungo linee melodiche di grande impatto, mantenendo una leggerezza nell’impostazione tecnico strumentale veramente strabiliante. Passando a “Blood, Guts and Beer” la band sperimenta ancora la carica trascinante di ritmiche leggermente cadenzate ma sulle quali si stendono riffs trascinanti e ad alto potenziale di coinvolgimento sull’ascoltatore. In particolare si nota il tentativo da parte del combo di diversificare il songwriting, svolgendo la song articolandone lo sviluppo con azzeccati cambi di tempo. Molto “graffiante” risulta essere l’hard rock della seguente “That’s What Dreams Are Made Of”, brano che per certi versi può essere considerato un degno tributo al old school style del genere (e un riferimento approssimativo potrebbe anche essere ravvisato proprio negli ACDC dei seventies). Molto bello l’assolo centrale che, con fraseggi “dilatati” da un opportuno uso del chorus, impreziosisce il tutto.
I Tank tornano a “ruggire” con la sesta song del lotto, “Turn Your head around”. Le ritmiche, infatti, tornano ad essere incalzanti e i lriffing serrato senza lasciare respiro all’ascoltatore, mentre le vocals ritornano a urlare rabbia “heavy rock” a profusione. Con “Heavy Artillery” il combo da in pasto all’ascoltatore una delle perle del disco, grazie ad un riffing semplice e potente ben sostenuto da una sezione ritmica puntuale nel compattare la forza d’urto del sound “tankiano”. “Who needs love songs” è una song giocata sul ritmo, leggermente sostenuto quel tanto che basta alle chitarre di sviluppare un riffing melodicamente accattivante. In questo brano poi si nota il tentativo di concentrare l’attenzione dell’ascoltatore su “passaggi” discretamente curati sotto il profilo tecnico-strumentale”.La penultima traccia, che poi è la title track, è una potente heavy song giocata sull’alternanza tra momenti di più roccioso (dove le ritmiche si fanno quasi martellanti) impatto ed altri più aperti alla melodia (nel refrain principale, per la precisione). Il disco si chiude nel modo migliore con lo splendido riffs portante, melodico e diretto allo stesso tempo, di “He fell in love with a stormtrooper”. Questa track rapisce subito l’ascoltatore per la spontaneità e la sofferenza “heavy rock” che ogni riff che la compone sprigiona, culminando nel bell’assolo centrale.

I Tank, per concludere,  sono una grande band che, purtroppo come altre sfortunate, ha avuto l’onere di portare avanti con coerenza e dedizione lo spirito dell’Heavy Metal senza riscontrare il successo e la fama che meritava. Recensire il debut per me è un grande onore e spero che l’illustrazione di questo lavoro sia da stimolo per i lettori per iniziare da questo bel platter la conoscenza di questo grande gruppo.  

Tracklist:
 
1. Shellshock
2. Struck by Lightning
3. Run Like Hell
4. Bloods, Guts and Beer
5. That’s What Dreams Are Made Of
 6. Turn Your Head Around
7. Heavy Artillery
8. Who Needs Love Songs?
9. Fifth Hounds of Hades
10. (He Fell in Love With A) Stormtrooper

Line up:

Algy Ward: bass and vocals
Peter Brabbs: guitars
Mark Brabbs: drums

 

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Genere:
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77