Recensione: Finis
I Black Hamada sono una band romana composta da musicisti che hanno alle spalle importanti esperienze nel movimento Hardcore/Metal italiano ed europeo. Dopo il rilascio, nel 2019, di un primo self-titled demo di quattro pezzi e alcuni avvicendamenti nella line-up, il gruppo si cristallizza nella sua forma attuale con Riccardo alla batteria, Federico V al basso e Federico F e Simone alle chitarre.
Raggiunto velocemente il necessario affiatamento e stabiliti nuovi equilibri, nel 2021 i quattro entrano nello studio Hombrelobo di Roma con Valerio Fisik (già alla produzione nella precedente release) per la registrazione del secondo capitolo della loro discografia. Nelle parole del combo capitolino “Finis”, questo il titolo dell’EP uscito lo scorso 7 febbraio, “segna un momento di cambiamento per la band, è il principio di un nuovo percorso. Il tema che lega i quattro brani nasce proprio da lì, esprime a pieno la trasformazione possibile solo attraverso una fine.”
Il disco è prevalentemente strumentale, con un paio di episodi arricchiti da inserti vocali, e si muove lungo una direttrice che corre tra il Post Metal e uno Sludge/Doom dalle occasionali inflessioni Progressive. La proposta, pur non difettando di una propria personalità, è accostabile, in quanto a stile, a quella di Isis, Cult Of Luna e The Ocean.
La opener “Irredento” parte all’insegna di un Post Metal che, con il rallentare del riffing, sconfina nello Sludge. A seguire arpeggi di chitarra definiscono una sezione centrale dal taglio atmosferico su cui va a innestarsi il cantato: “Questo è quel che sento, di sé schiavo mai, irredento…Questo è il momento, del mio cuore che è già irredento…”. Il brano declina poi verso il finale in modo particolarmente plumbeo. L’attacco della successiva “Hirundo” ha un feeling onirico, interrotto dall’appesantimento delle chitarre che si cimentano dapprima in accordi lenti e calcati per poi lanciarsi in riff di inclinazione Progressive Sludge.
In “Saturnalia”, che – come la traccia che l’ha preceduta – è completamente strumentale, la potenza iniziale sfuma in una fredda malinconia, in cui si ritrova qualcosa del sound degli islandesi Sólstafir. Dopodiché un riff di chitarra crea uno stacco netto e il pezzo torna a farsi tonante, ma sempre in modo elegante e con una certa vena melodica. La pacatezza iniziale di “Inceptus” è spezzata da accelerazioni di batteria che proiettato il brano nel vivo, a svilupparsi tra discontinuità ritmiche e melodiche. Sulla ¾ torna a farsi sentire la voce che, lasciata volutamente indietro, è utilizzata quasi fosse uno strumento aggiuntivo capace di un forte apporto atmosferico.
È difficile che una proposta (quasi) completamente strumentale come questa riesca a fare immediatamente presa sull’ascoltatore. Dopo alcuni passaggi in stereo, però, “Finis” cresce e coinvolge grazie alla qualità compositiva e d’esecuzione, a un’espressività quasi cinematrografica, che sollecita l’emergere di immagini e sensazioni, e a una produzione professionale e bilanciata. Una buona prova, a cui la durata ridotta non rende forse completamente giustizia: speriamo quindi di avere modo di sentire presto i Black Hamada su un minutaggio più consistente.