Recensione: Fire Blades From The Tomb

Di Alessandro Rinaldi - 13 Febbraio 2024 - 0:08
Fire blades from the tomb
Etichetta: Season Of Mist
Genere: Black 
Anno: 2024
Nazione:
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83

Li avevamo conosciuti con Mystery Of Mystery, l’EP di esordio dei Ponte del Diavolo, una band nata da una jam session in un contesto, quello del Covid, davvero problematico come evidenziato nell’intervista ad Abro sulle pagine di Truemetal. Da allora, altri due EP hanno chiuso la “trilogia del diavolo”, Sancta Menstruis e Ave Scintilla!, che hanno confermato quanto di promettente fatto intravedere nella loro prima uscita. Vengono notati dalla  Season of Mist, e, dopo la firma con l’etichetta, ecco  la loro grande occasione.

L’artwork, opera di Laura Nardelli (ex membro della band), è ipnotico e denso di elementi esoterici, come un cerchio, le tre croci e la fiamma all’interno dello stesso che richiama, iconograficamente parlando, il simbolo dei Lum (altro progetto interessantissimo) con cui hanno in comune Alessio Caruso (Khrura Abro). Completano il quintetto Elena Camusso (Erba del Diavolo) alla voce, Andrea L’Abbate (Kratom) – entrato al posto di Laura Nardelli – all’altro basso, Rocco Scurzella (Nerium) alla chitarra e Stefano Franchina (Segale Cornuta) alla batteria. Scorrendo la line-up dei Ponte del Diavolo si nota immediatamente un aspetto, ovvero la presenza di due bassi, una particolarità, per uno strumento che nel black metal spesso è relegato ai margini ma che, secondo uno studio della Proceedings of the National Academy of Sciences è lo strumento più importante per far capire al nostro cervello il ritmo di una canzone; non proprio una sciocchezza. Il primo effetto di questa scelta, è quello di avere toni più cupi e oscuri e di accentuare l’effetto esoterico, perché le frequenze basse sono quelle che riescono ad oltrepassare anche il corpo. Come se già non ci fossero sufficienti legami con l’esoterismo, partendo già dal nome stesso della band, un richiamo a diverse leggende del nostro territorio che hanno come protagonista proprio il diavolo, alla prese con la costruzione di un ponte (nel simbolismo un legame tra due mondi), in cambio di un fio da pagare – che di solito corrisponde alla  vita del primo, sventurato, viandante che metteva piede sullo stesso.

Fire blades from the tomb ricalca quanto di buono fatto vedere nei precedenti tre EP, ma su vasta scala: si tratta di una musica cupa, oscura, con un forte legame e simbolismo esoterico, una fusione tra doom e black metal avvolta da spire dark wave che portano indietro le lancette dell’orologio, agli anni ’80.  Composto da sette – numero magico per eccellenza – canzoni, scritte sia in italiano e in inglese, per un totale di poco più di quaranta minuti, si avvale di diverse collaborazioni, tra cui quella di Vittorio Sabelli al clarinetto (presente in Covenant, Red as the sex of She who lives in death e Nocturnal veil) che dà un tocco più suadente alla loro musica.

Si parte forte, con Demone – singolo che lancia anche il disco con bellissimo videoclip  – che ha una solida e primordiale struttura black, in cui spicca uno degli elementi caratterizzanti della band, ovvero le straordinarie capacità di Erba del Diavolo di trovare delle coinvolgenti quanto originali linee melodiche. Si prosegue con  Covenant – scelta anche come secondo singolo – che ha una ossessionante sezione ritmica in cui le chitarre graffiano come fruste demoniache: bellissimo il synth che chiude il pezzo. Red as the sex of She who lives in death è la dimostrazione di quanto possa essere seducente il male, una ballad tentatrice che non rinuncia al lato duro dei Ponte del Diavolo. La razza dà ampio spazio alle chitarre, all’abilità e all’estro di Nerium, capace di tessere una tela convincente. Nocturnal veil ha un bel riff iniziale, con una melodia molto orecchiabile, un pezzo oscuro e selenico, in linea con il mood dell’album, impreziosita dal clarinetto di Sabelli, che dà un tocco magico al brano. Si prosegue con Zero, è grezzo diretto e immediato, con brusche accelerate; chiude ,in crescendo, The weeping song, in cui compare la special guest Davide Straccione: un convincente duetto con Erba del Diavolo, una malinconica e forte canzone.

Il sound è più curato rispetto ai precedenti lavori ma resta sempre grezzo e immediato mantenendo la densa oscurità che caratterizza la band; la coraggiosa scelta dei due bassi premia. La solida base musicale è il cerchio infernale che esalta la doti di Erba del Diavolo, capace di interpretare il ruolo del demoniaco e seducente bardo, con la sua straordinaria capacità di creare linee vocali originali e diabolicamente evocative che hanno un qualcosa di hameliniano e di catturare così l’ascoltatore conducendolo nel loro personale Inferno.

Che esita un fitto legame tra magia e arte è lapalissiano, come lo è la liaison ancor più fitta con la musica, soprattutto quella metal: i Ponte del Diavolo riescono a trovare una loro collocazione in questo contesto trovando una loro personalissima via artistica, coraggiosa, ben delineata che dà una boccata d’ossigeno ad un movimento che talvolta sembra essere prigioniero di sé stesso.

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