Recensione: Fire Everywhere
“Fire Everywhere” rappresenta l’esordio discografico di casa The Doomsayer, italianissima band nata dalle ceneri degli Stigma e composta da quattro elementi: Stefano “Vlad” Ghersi alla voce, Andrea Bailo alla chitarra e alle backing vocals, Flavio Magnaldi al basso e Stefano Ghigliano alla batteria.
Come suggerito dal titolo, breve ma illuminante, si tratta di un album composto esclusivamente da puro e fottuto hardcore metal privo di fronzoli e dritto al sodo: agile, veloce e dannatamente divertente. Le otto canzoni proposte (neanche trenta minuti in totale) sono, come ipotizzabile, tutte quante giocate sui medesimi tratti distintivi: riffing arcigno di discendenza hardcore (mi vengono in mente dei Black Breath appena meno ruvidi), cori sguaiati che fanno molto skate/thrash anni ’80 e ritornelli in voce pulita spesso nel solco degli ultimi Soilwork. La ricetta è, dunque, potenzialmente semplice quanto pericolosamente a doppio e taglio: in casi come questo il rischio banalitá & ripetitività è sempre dietro l’angolo, eppure i The Doomsayer maneggiano bene la materia e mostrano di sapersela cavare egregiamente anche sul terreno minato delle abusatissime clean vocals, andando ad azzeccare praticamente tutti i ritornelli.
Difficile estrarre dei pezzi singoli da un lavoro così compatto; di certo l’intro “Tides” e la successiva “15.05.11” aprono l’album come forse meglio non si poteva, ma anche “I Am History”, la title track, la sofferta “Echoes” e “The Eternal Self”, oltre all’ottima “Diamonds”, si fanno ampiamente rispettare. Ragguardevoli le prestazioni di tutti e quattro i musicisti, dalla perpetua chitarra di Andrea Bailo all’efficace (per quanto poco evidente) basso di Flavio Magnaldi fino al percussionismo ipercinetico di Stefano Ghigliano e con particolare menzione per il growl colorato e convincente di uno Stefano Ghersi davvero in palla.
Se band come Vision Of Disorder e Black Breath (ma anche Killswitch Engage, vecchi Trivium e Shadows Fall) fanno parte dei vostri ascolti abituali, date un’occasione a “Fire Everywhere”, potreste rimanerne piacevolmente colpiti.
Stefano Burini
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