Recensione: Fire From The Sky
Per chi se li ricorda ai tempi di “The War Within”, gli Shadows Fall sono sinonimo di chitarre terremotanti, produzioni iperpompate e cantato alternato tra scream e growl: il perfetto identikit della metalcore band, ed in effetti i ragazzi di Springfield, Massachusets, esplosero proprio nei primi anni 2000, nel pieno dell’ondata che portò al successo gente come come Killswitch Engage, As I Lay Dying, Trivium e Avenged Sevenfold.
In realtà, come quasi sempre accade, per comodità si tende ad omologare sotto ad un’unica etichetta realtà decisamente distanti tra loro, magari con solo qualche punto in comune e nemmeno sempre da un punto di vista stilistico, come insegna il grunge, il cui vero collante della scena erano le origini geografiche piuttosto che un’affinità di sound talvolta davvero ai minimi termini.
Se, per sommi capi, i Killswtich Engage hanno sempre rappresentano il lato più “romantico” della corrente e Avenged Sevenfold e Atreyu quello più propenso al mix di generi, di certo Trivium e Shadows Fall sono quelli, con ogni probabilità, più legati al thrash metal. Heafy & C. furono tra i primi a fare outing, palesando il grande attaccamento alla scena degli anni ’80 e in particolare ai Metallica, con quella sorta di riuscitissimo album tributo che risponde al nome di “The Crusade” mentre, al contrario, gli Shadows Fall hanno sempre flirtato con il post thrash.
Con “Fire From The Sky”, rimanendo entro metafora, il flirt diventa vera e propria dichiarazione d’amore e, oggi, la musica degli Shadows Fall pare annoverare tra le proprie maggiori influenze nientemeno che gli ultimi Machine Head. Intendiamoci, i retaggi *core non sono di certo spariti, pena la perdita di identità di un gruppo che di certo avrà molti detrattori tra coloro che non apprezzano queste “nuove” derive, ma che nel contempo ha alle spalle quasi quindici anni di storia che non avrebbe davvero senso “rinnegare”. Impossibile, d’altro canto, non riconoscere l’impronta della band di Robb Flynn e di Phil Demmel sia nelle partiture strumentali sia in alcuni passaggi cantati che si affiancano all’abituale range vocale tipico del gruppo.
La furia delle chitarre di Jonathan Donais e di Matt Bachand è inesauribile: che si tratti di riff spaccaossa di matrice groove/post thrash o di vertiginose scalate a duemila all’ora, la tensione non scende mai durante tutto l’ascolto. Il risultato non potrebbe essere, d’altronde, di tale impatto senza il grandissimo lavoro di Paul Romanko al basso e di Jason Bittner alla batteria, una di quelle sezioni ritmiche che fanno della tecnica e della dinamicità un credo assoluto, nella migliore “tradizione” del genere. E poi Brian Fair: come growler/screamer se l’è sempre cavata piuttosto bene pur senza eccellere; sulle clean vocals non ha mai, viceversa, potuto vantare la maestria di gente come Howard Jones o Matt Heafy. Tuttavia anche qui, come anticipato, la lezione offerta da Robb Flynn in “Unto The Locust” sulle possibilità espressive del cantato su questo tipo di sonorità pare aver dato i propri frutti e la prestazione del frontman di Boston è davvero sopra le righe.
“Fire From The Sky” è un vero e proprio assalto, i momenti di calma sono pressoché banditi e gli unici spiragli di luce si intravedono in presenza dei tanto temuti ritornelli melodici. Le canzoni sono tutte di livello medio-alto, nulla di particolarmente innovativo ma tutto quanto suonato (e cantato) con perizia, convinzione e un’apprezzabile, e riuscito, tentativo di uscire dagli stilemi del metalcore inglobando nuove influenze.
L’opener “The Unknown” è un perfetto manifesto di questo “nuovo corso”: il riffing e l’incedere tambureggiante fanno iniziare l’album con il piede giusto, così come gli strategici rallentamenti, talora di matrice groove e talora puramente atmosferici, gli assoli supersonici e la grande prova vocale di Brain Fair, sempre un po’ leggerino sul pulito ma decisamente migliorato in un ottica di cantato sì sporco ma non ancora growly, alla maniera, non a caso, del miglior di Robb Flynn.
“Divide And Conquer” è più tradizionalmente metalcore, ma anche qui di thrash di ultima generazione ce n’è davvero in quantità industriale e, di nuovo, risulta davvero impossibile non elogiare il lavoro a getto continuo delle due scatenate chitarre. Per chi cerca velocità, tecnica funambolica e potenza, difficile chiedere di più.
Ritorna il growling più bestiale di Brian in “Weight Of The World” e la ricetta è un thrash/core decisamente violento su cui si stagliano le “solite” clean vocals, croce e delizia del metallaro medio di questi tempi. Risulta ormai evidente su quali binari gli Shadows Fall hanno deciso di lanciare a tutta velocità questo “Fire From The Sky” e di certo chi non apprezza questo genere di sonorità troverà in questo album tutti i “difetti” che di solito gli vengono imputati, dai ritornelli melodici, ai breakdown, passando per la produzione “laccata”. Nel contempo la qualità e l’aggressività dei pezzi non sono in discussione e le massicce influenze machinehead-iane potrebbero riservare qualche gradita sorpresa.
“Nothing Remains” è talmente solenne e melanconica da potersela giocare con i migliori Killswitch Engage, seppur risultando, rispetto ad essi, claudicante dal punto di vista delle clean vocals. E’, tuttavia, solo questione di attimi e gli Shadows Fall ritornano a martellare senza pietà sulla title track, in cui ad una prima parte più cadenzata sulla quale Brian tira fuori un growling profondissimo di matrice brutal segue un accelerazione thrash old school davvero ben congegnata che ci trascina tra assoli mitraglianti e rallentamenti verso un finale all’insegna della atmosfera.
Di nuovo velocità, tecnica e tiro micidiale degno dei precedenti episodi su “Save Your Soul”, mentre “Blind Faith” dovrebbe, e il condizionale è d’obbligo, svolgere la funzione di allentare un po le redini; tuttavia, pur trovandoci al cospetto di un brano meno violento e più incentrato sulla melodia di altri, l’intensità non viene in ogni caso meno.
Il metalcore più “puro” ritorna a galla sulla doppietta composta da “Lost Within” e “Walk The Edge”; il cantato potrebbe non soddisfare i thrasher vecchia scuola, tuttavia le armonizzazioni di chitarra della prima e il piglio quasi hard rock di certi passaggi della seconda, unitamente alla velocità veramente indiavolata di entrambe, conferiscono al tutto un tocco di personalizzazione veramente apprezzabile.
“The Wasteland” morde e lacera, per poi fuggire con la furia disorientata di un cane rabbioso, “Eternal Life” è più leggerina e tutto sommato abbastanza canonica per quanto non certo spiacevole, così come la conclusiva “A Death Worth Dying” forse i due pezzi più Shadows Fall “vecchia maniera”, con barlumi di thrash metal su un telaio preponderantemente metalcore.
Poco o anzi nulla aggiungono le due bonus track live, con un Brian Fair a dirla tutta decisamente meno brillante di quanto di solito siamo abituati ad ascoltare in studio, rispetto al giudizio complessivo su di un buon album di thrash/metalcore il cui non semplice compito è di risollevare gli Shadows Fall dopo il flop (quantomeno commerciale) di “Threads Of Life” e la tiepida accoglienza riservata al controverso “Retribution”.
Stefano Burini
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Line Up
Brian Fair – Voce
Jonathan Donais – Chitarra
Matt Bachand – Chitarra
Paul Romanko – basso
Jason Bittner – batteria
Tracklist
01. The Unknown
02. Divide And Conquer
03. Weight Of The World
04. Nothing Remains
05. Fire From The Sky
06. Save Your Soul
07. Blind Faith
08. Lost Within
09. Walk The Edge
10. The Wasteland
11. Eternal Life
12. A Death Worth Dying
13. Failure Of The Devout (Live Bonus Track da “Threads Of Life”, 2007)
14. The Light That Blinds (Live Bonus Track da “The War Within”, 2004)