Recensione: Fire In The Hole
Qualche “recensione fa” si parlava delle band italiane che ripropongono sonorità oldfashioned, e si diceva che non basta certo ispirarsi a Whitesnake, Deep Purple o Judas Priest (in realtà io stesso avevo nominato band molto meno blasonate, e per questo di culto) per essere osannati da critica e pubblico. Se l’hard rock / heavy classico è un genere difficile, lo è per via di un feeling unico che il musicista deve mostrare sia nei confronti del genere, sia nei confronti della tecnica, sia nei confronti del pubblico.
I Wine Spirit mi avevano fatto una gran bella impressione al Gods Of Metal del 2001, e avevano fugato ogni dubbio, seppure ce ne fosse bisogno, con quella convincente prova da studio che era stata “Bombs Away“.
Oggi i nostri proseguono con grande fedeltà a se stessi e al genere proposto nel debut, con un platter bagnato di sudore che non potrà non farvi essere orgogliosi del nostro paese. Tra le ritmiche serrate di Nail (batteria) e El Guapo (basso) si snoda tutta una serie di composizioni energiche e veloci, in cui il rifferama del Conte è sempre in primissimo piano, straripante e prepotente come tradizione vuole. Il batti e ribatti continuo delle voci soliste (Il Conte e El Guapo) rende le melodie varie e godibili, senza contare una massiccia e curata sezione backing vocals. L’aspetto tecnico è di tutto rispetto, basti ascoltare “Burn Out”, una delle rare mid-tempo, in cui Nail si diletta in un drumming tellurico e avvolgente, degno del suo quasi omonimo Neil Peart (Rush), che di queste soluzioni è da sempre maestro; fanno capolino le tastiere di Alex del Vecchio, guest sulla purpleiana “Leap In The Dark” e naturalmente su “Sailing Ships”, riuscitissima cover del Serpente Bianco, quasi una conferma delle considerazioni iniziali.
Da non sottovalutare il fatto che non ci siano cali né pause nella performance del trio, con l’ascia del Conte sempre generosa di riff e pregevoli soli, come quello del break di “(I’ve Got) No Time”, in cui anche le voci si mettono in bella evidenza con atmosfere halfordiane. Sorprende la riflessiva strumentale “Midnight Touch”, suonata in acustica dal solo Conte, tanto per confermare la classe di cui è dotato.
Di chiaro stampo Motorhead il riffing della opener “Catch 22” e di “Get It On”, mentre è pura magia la già citata “Sailing Ships”, nella quale i Whitesnake rivivono grazie alle delicate chitarre e alle voci suadenti dei nostri, all’altezza anche nello splendido esplosivo finale, prima di concedersi un’ultima sferzata di rock’n’roll con “Spiagames”, graffiante e veloce in perfetto stile (sì, finalmente possiamo dirlo) Wine Spirit.
Graditissima conferma, dunque, per una band che non ha ricevuto, a detta di chi scrive, il giusto onore al merito, colpa forse anche di un’approssimativa attività promozionale e di distribuzione. Auguro dunque ai Wine Spirit il doveroso riscontro, sperando nel lavoro della nuova etichetta Sacred Metal e dei Conquest studio, già collaboratori di Doomsword ed Edge Of Forever.
Tracklist:
- Catch 22
- A New Mankind
- Hide & Kill
- Leap In The Dark
- Burnout
- Go The Whole
- (I’ve Got) No Time
- Midnight Touch (Instrumental)
- (She’s A) Regular Boogie Woogie
- Get It On
- Sailing Ships
- Spia Games