Recensione: Firebrand Super Rock
I Firebrand Super Rock arrivano direttamente da Edimburgo e, nonostante l’improbabile nome che si sono scelti possa lasciar immaginare altro, suonano un heavy metal di stampo classicissimo, senza fronzoli e orpelli di sorta, sulla falsariga di Iron Maiden, Saxon o Judas Priest; a proposito di Halford e soci, non lasciatevi trarre in inganno: nessun falsetto, in questo caso a cantare è proprio una donna, Laura Donnelly, arrochita quanto basta per creare un’androgina incertezza nell’ascoltatore. In giro dal 2004, si sono fatti le ossa come tanti altri prima di loro, arrivando infine a vedere le loro fatiche ricompensate, sia dal vivo sia in studio. Dopo aver calcato i palcoscenici di alcuni dei più grandi festival europei, sbarcano nel nostro paese con questo debutto discografico.
Apertura martellante per River Of The Dead, un’esplosione a tradimento che lascia spazio a un brano pompato, con chitarre lanciatissime e taglienti, batteria e basso scatenate; un inizio che lascia davvero ben sperare. Il ritmo non diminuisce con l’arrivo di Into the Black, anzi; Donnelly si spreme i polmoni in un brano ai confini del thrash metal, riff pesanti e lanciatissimi che costituiscono la base di un pezzo che non farà certo gridare al miracolo per la sua originalità, ma che riesce senza difficoltà a catturare l’attenzione dell’ascoltatore, attirandolo inesorabilmente in un gorgo di potenza musicale.
Il quartetto scozzese non concede un attimo di respiro nemmeno con Wheel Of Pain. Il brano non è certo una ballad, i musicisti continuano a darci sotto in maniera implacabile; le parti vocali, però, sono il tallone di Achille di questa traccia, fin troppo piatte e ripetitive, soprattutto se paragonate a quelle dei brani precedenti. L’impressione finale è quella di un brano che viene stiracchiato oltre il possibile e che sarebbe tranquillamente potuto terminare un minuto prima. E’ un duro contraccolpo quello che arriva con Iron Void: i ritmi decrescono bruscamente, i suoni si incupiscono, l’energia primordiale rilasciata durante i pezzi precedenti viene spinta in una fossa oscura e compressa in un’esecuzione che omaggia i Black Sabbath nella loro pervadente cupezza.
L’incipit solenne di The Unborn è un breve trampolino che ci catapulta nuovamente in un brano dalle tematiche e dalle sonorità tenebrose, fratello di sangue di quello che si era appena concluso. Un aspetto che colpisce durante l’ascolto dei parti artistici dei Firebrand Super Rock è l’omogeneità dell’esecuzione: nessuno dei musicisti prevarica l’altro, c’è equilibrio nella distribuzione dei suoni; un equilibrio forse eccessivo, a volte sembra che i diversi componenti attendano il loro turno prima di dare sfogo alla propria voglia di esprimersi, ma comunque intrigante. Il graffiante giro di basso che apre la strada a Hells Mouth può essere inteso come l’inizio di una metaforica risalita musicale dalle cupe sonorità dei brani precedenti: qui, ci troviamo di fronte a una canzone incattivita, non velocissima ma carica di rabbia repressa, le note oscillano e ci accompagnano in un crescendo che viene strozzato nella parte mediana del brano, trasformandosi in un mantra ossessivo, ripetuto fino allo stremo. Lo sfumato finale ci accompagna verso Beneath The Nameless City, dove un bell’arpeggio iniziale ci prende in consegna e ci trasporta in un breve strumentale quieto e malinconico, basato sulla chitarra di Gilchrist che, in questo caso, è decisamente il protagonista assoluto.
C’è un ironico ossimoro nell’aver intitolato il pezzo che segue Falling Down; l’adrenalina, infatti, pompa a mille e spara nuovamente l’ascoltatore nelle terre del ritmo intenso, dove la sezione ritmica martella con foga e la chitarra tritura note su note; non male! La melodica apertura di Born To Die si dipana in un brano più concreto, senza eccessivo spessore; penalizzato dalla sua eccessiva lunghezza, non convince particolarmente e risulta probabilmente l’episodio meno riuscito dell’intero disco. L’introduzione di Cleansed By Fire riporta alla mente i Manilla Road e ci porta verso la conclusione del disco; nulla di nuovo da dichiarare, il brano è piacevole, i riff mediorentaleggianti sono la struttura ossea di una melodia a due velocità che si smorza e riprende fiato a intervalli regolari, scivolando, infine verso uno scoppiettante epilogo.
I Firebrand Super Rock hanno pubblicato un buon album di debutto. Certamente perfettibile, dona comunque agli appassionati di heavy metal dei bei momenti d’intrattenimento; i musicisti sono competenti e affiatati tra di loro, la produzione è buona e la voce di Donnelly intrigante. Sull’altro piatto della bilancia, bisogna evidenziare come alcuni dei brani contenuti nel disco siano, francamente, dimenticabili a causa della loro banalità; in quest’opera prima, è fin troppo facile capire quali sono i gruppi che hanno influenzato la formazione musicale del quartetto di Edimburgo. Sono convinto che questi ragazzi siano in grado di estrarre un suono ben definito dal calderone della loro creatività; attendiamo il loro prossimo disco per capire se ci riusciranno. Nel mentre, Firebrand Super Rock può certo riuscire a dilettarci per qualche tempo.
Damiano “Kewlar” Fiamin
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Tracklist:
01. River Of The Dead
02. Into the Black
03. Wheel Of Pain
04. Iron Void
05. The Unborn
06. Hells Mouth
07. Beneath The Nameless City
08. Falling Down
09. Born To Die
10. Cleansed By Fire
Line-up:
Laura Donnelly – Voce
Jamie Gilchrist – Chitarra
Frazer Marr – Basso
Andrew Scott – Batteria