Recensione: Firescorched
Intorno alla metà degli anni ’90 del secolo scorso muovevo i primi passi nel ‘mondo proibito’ del Metal estremo, dopo aver seguito un tradizionale percorso di formazione musicale basato su lunghi e ripetuti ascolti dei dischi di Metallica, Aerosmith, Alice Cooper e Scorpions. Il principale responsabile di questa virata verso il lato estremo del Metal fu un ragazzo più vecchio di me di un anno, frequentante il mio stesso Liceo. Ricordo con piacere il buon Paolo, ‘spacciatore’ ufficiale di dischi Death e Black Metal: voci incontrollate negli ultimi anni lo hanno descritto come un ottimo Chirurgo in qualche non ben precisata struttura ospedaliera piemontese. Avrei anche potuto arrivarci da solo, semplicemente pensando alla sua sterminata collezione di dischi ricchi di copertine assai sanguinolente e spesso ‘anatomicamente corrette’…ebbene, nonostante il mio amico fosse un’autorità assoluta nel suo campo di ascolti, fu per me motivo di vanto portargli “Tribe” dei Sadist prima che riuscisse a metterci mano di sua iniziativa. Poco tempo dopo la pubblicazione dell’album trovai il CD originale in una bancarella al Mercatino delle Pulci, forse venduto e abbandonato da un fan ‘ortodosso’ del Death Metal rimasto scottato dalle ardite sperimentazioni messe in campo dalla band ligure. Oltre ai molti meriti artistici, quel disco non soltanto mi aiutò nel mettermi per una volta allo stesso livello del mio amico; contribuì senza dubbio ad allargare ulteriormente i proverbiali paraocchi, che nel mio caso si erano già abbondantemente allentati proprio grazie all’ascolto di Metal e affini. E’ risaputo infatti come il piemontese medio normalmente consideri la Liguria alla stregua di una ‘seconda casa’. Il bel Mar Ligure rappresenta per i miei corregionali l’approdo marino più vicino, facendo della Liguria l’obiettivo preferito per trascorrere le vacanze estive o per svernare in luoghi dalle condizioni climatiche più favorevoli rispetto a quelle del Piemonte. Il fatto che la Regione in cui trascorrevo le vacanze, solitamente ricca di sole, mare, spiagge e belle ragazze in costume da bagno, potesse produrre anche dischi metallari di alto livello mi colpì come un fulmine a ciel sereno. Negli anni successivi si aggiunsero alla lista Vanexa, Necrodeath e compagnia bella, ma non divaghiamo troppo: trovarmi a recensire l’ultimo lavoro dei Sadist, “Firescorched”, mi ha riportato indietro di circa 25 anni, in uno dei molti momenti in cui ascoltavo rapito il memorabile brano “From Bellatrix To Betelgeuse”, mitica e favolosa terza traccia strumentale di “Tribe”. La nostalgia verso i bei tempi andati mi permetterà di apprezzare al meglio l’ultima produzione dei Sadist? Per scoprirlo, nulla di meglio che premere il tasto play…
“Firescorched” colpisce duro fin dal primo ascolto con la traccia n°1, un’affascinante composizione dal titolo apparentemente misterioso: “Accabadora”. La canzone, ascoltabile già da qualche tempo in rete, inizia con una voce maschile che sembra esprimersi in una strana lingua…macché strana, è dialetto sardo! Un mio ottimo amico di Osilo (SS) mi ha aiutato nella traduzione: la frase pronunciata nella canzone recita ‘quando viene l’ora viene l’Accabadora’, cioè ‘colei che finisce’. Il termine Accabadora affonda infatti le sue radici nel folklore della Sardegna: detto in modo molto riassuntivo, pare che i parenti di persone gravemente malate pregassero affinché arrivasse l’Accabadora per alleviare le sofferenze dei loro cari…ed ecco spiegata la presenza di quest’enigmatico e violento personaggio femminile nel videoclip. Secondo la versione presentata dai Sadist l’Accabadora è una figura (si badi bene, storicamente non comprovata) la cui missione pare fosse ‘portare la morte’ a persone talmente sofferenti da spingere persino i loro familiari a considerarne il trapasso come una liberazione. Alcune fonti, trattando l’argomento alla stregua di una leggenda urbana, suggeriscono come tale ‘servizio’ potesse essere richiesto sia dalla persona malata che dai congiunti; basta quindi una veloce riflessione per dare un’interpretazione attuale alle parole ‘portare la morte’: eutanasia. Tralascio in questa sede le riflessioni su un tema così delicato: approfitto però dell’occasione per segnalare ai nostri Lettori curiosi l’esistenza di un romanzo di Michela Murgia, intitolato proprio Accabadora (Einaudi, 2009), che approfondisce quest’affascinante prodotto del folklore sardo e il suo legame con l’attuale dibattito sull’eutanasia. Musicalmente la canzone chiarisce bene le coordinate seguite dai Sadist in quest’ultima loro fatica: il brano alterna fasi dall’incedere aggressivo, dal sapore vagamente Thrash, a parti più tradizionalmente Sadist-style, con le ormai collaudate tastiere spettrali e i tradizionali intermezzi ‘orientaleggianti’. I Sadist insomma sono sempre i Sadist, nonostante gli stravolgimenti subiti da una formazione rimasta inviolata dai tempi del controverso “Lego”, uscito nel 2000, fino al penultimo “Spellbound”, datato 2018: il batterista Romain Goulon (ex-Necrophagist, ex-Benighted, ex-Agressor) sostituisce Alessio Spallarossa, mentre il virtuoso del basso fretless Jeroen Paul Thesseling (Obscura, ex-Pestilence) prende il posto di Andy Marchini.
“Firescorched” sembra avere un impatto più diretto rispetto a dischi come il self titled “Sadist” del 2007 o “Hyaena” del 2015: da questo punto di vista si continua a seguire quindi la direzione intrapresa con “Spellbound”, album tendenzialmente più ‘accessibile’…per quanto possa essere accessibile un disco dei Sadist, ovviamente. Pur non dimenticando i suadenti fraseggi di basso e le atmosfere Prog a cui siamo tutti abituati, con “Firescorched” ci accorgiamo di una piacevole caratteristica. Si avverte spesso la presenza di un solido tappeto di suoni elettronici, talvolta quasi al confine con certe intuizioni retro/synthwave risalite alla ribalta nell’ultimo decennio, che completano e rafforzano le tematiche Horror affrontate nel disco. Questa scelta stilistica infatti rimanda a certi artifici sonori tipici del cinema dell’orrore, specialmente quello prodotto negli anni tra il 1970 e il 1990: non a caso si tratta di un terreno artistico in cui l’Italia si è a suo tempo ritagliata uno spazio di tutto rispetto. Il legame con “Spellbound” si amplia quindi anche a livello contenutistico: oltre allo stile musicale i due album vengono accomunati dalle tematiche trattate dai testi, dedicati all’opera di Alfred Hitchcock nel caso di “Spellbound” e ispirati più in generale alle atmosfere del cinema Horror nel caso di “Firescorched”. Tanto per fare un esempio, titoli di brani come “Three Mothers and the Old Devil Father” o “Trauma (Impaired Mind Functionality)”, rispettivamente settimo e ottavo brano dell’album, citano in maniera abbastanza esplicita due film di Dario Argento, ‘La Terza Madre’ del 2007 e ‘Trauma’ del 1993. La copertina dell’album aggiunge poi un bel carico da 11 alle sensazioni orrifiche che si provano durante l’ascolto: l’artwork affidato all’artista Paolo Puppo raffigura quella che sembra una giovane divinità del fuoco, a suo agio in un corpo minuto dalla pelle completamente ustionata, seduta su di un trono insanguinato circondato da raccapriccianti manichini.
Dopo questa lunga digressione, aperta grazie al brano introduttivo dell’album, passiamo alla seconda traccia, “Fleshbound”. Si nota subito un aumento dei BPM e ci si accorge di un’altra particolarità: oltre ai riff dissonanti, agli assoli intricati e al versatile ed espressivo growl di Trevor si percepisce una buona e sana dose di melodia: alcune parti della canzone, esattamente come in “Accabadora”, riescono a stamparsi ben presto nella mente degli ascoltatori. Questa facilità di appropriazione delle linee melodiche da parte dei fan, che qualcuno potrebbe interpretare come una scelta commerciale (qualunque cosa questo termine possa significare), in realtà contribuisce a rendere l’intero disco molto coerente: una delle colonne portanti di “Firescorched” sembra proprio essere un continuo contrasto tra melodia e irruenza. Proseguendo nell’ascolto del platter questa sensazione si fa sempre più forte: la terza canzone, “Finger Food”, si distingue per le melodie orecchiabili installate su ritmi serrati e veloci, la cui aggressività viene a mala pena tenuta a freno da disturbanti stacchi lenti e suggestivi. L’assalto sonoro prosegue con il quarto brano, “Burial Of A Clown”, in cui appaiono le prime dirompenti parti in blast beat: la violenza espressa da queste due tracce si contrappone alla soavità del pianoforte che introduce la quinta canzone, la strumentale “Loa”. Il brano, animato da sonorità oniriche e riff acustici, è impreziosito da ipnotici assoli di chitarra e tastiera incastonati su coinvolgenti giri di basso. “Loa” è la quinta canzone in un totale di nove e divide perfettamente in due parti il disco: la mia immaginazione l’ha interpretata come un delicato fiore nel momento della sua estirpazione, raccolto da un paio di vigorose mani sporche della terra in cui sono appena sprofondate. E infatti, esattamente come i quattro brani precedenti, anche le quattro tracce successive a “Loa” non lesinano in quanto a veemenza: “Aggression Regression” irrompe con un riff che ancora una volta non sfigurerebbe nell’introduzione di un buon disco Thrash, per poi trasformarsi in un brano incalzante e intricato in piena tradizione Sadist. La velocità ritorna a vivacizzare gli animi degli ascoltatori nella successiva “Three Mothers and the Old Devil Father”, nuovamente costruita alternando parti in up-tempo e blast beat a ritornelli orecchiabili, arricchiti oltretutto da un gradevole e sornione riff elettronico pronto a far da contraltare alla voce di Trevor. Il cantante dei Sadist, è bene sottolinearlo, appare in gran forma e ci regala una delle sue migliori performance sin dai tempi di “Crust” del 1997, album che lo ha visto entrare in pianta stabile nella line-up del gruppo. L’ottavo e penultimo brano, “Trauma (Impaired Mind Functionality)”, conferma in pieno quest’impressione; la canzone non ha lo stesso impatto di “Accabadora” o “Finger Food”, singoli saggiamente selezionati per anticipare l’uscita dell’album, ma la convincente interpretazione di Trevor riesce in ogni caso a colmare tutte le incertezze, senza contare l’ovvio e positivo apporto degli altri membri del gruppo.
Il compito di occupare gli ultimi minuti del disco spetta quindi alla title-track, l’inquietante “Firescorched”: il brano, che nella prima metà passa da rocciose parti in mid tempo a curiosi intermezzi tribali accompagnati solo da growl e tastiere, ci stupisce con un rabbioso finale realizzato sulla base di una melodia da brividi. Con questa breve e lugubre serie di note, un motivo che farebbe un’ottima figura come ninna nanna in un film dell’orrore, si chiude il nono full-length dei nostri Sadist. La proposta della band ligure, ormai garanzia di qualità ad ogni uscita, si assesta anche in quest’occasione su livelli di eccellenza. Nella seconda parte dell’album ho avuto l’impressione che si verificasse qualche sporadico calo di tensione, come ad esempio nella succitata “Trauma (Impaired Mind Functionality)”, ma davvero non si è trattato di nulla di particolarmente grave: l’innegabile professionalità dei musicisti coinvolti riesce comunque a rendere il tutto gradevole e degno di molti e frequenti riascolti. Rimane forte la curiosità di vedere cosa produrranno in futuro i Sadist con questa line-up rinnovata, la cui alchimia in “Firescorched” sembra ancora nelle ultime fasi di assestamento; si può ben immaginare d’altronde come certe rivoluzioni nella formazione abbiano bisogno di un po’ di tempo per venire assimilate appieno, ed è comprensibile come ciò si possa verificare dopo 20 anni di assoluta stabilità. Lunga vita ai Sadist, dunque, e possano tutti i Lettori godersi l’ascolto di questo bell’album in tranquillità, magari durante le ore notturne, con l’impianto Hi-Fi debolmente illuminato dalla fioca luce di una tenue Luna calante…e mi raccomando, ricordatevi di chiudere a chiave la porta di casa!