Recensione: Flagellum Dei

Di Daniele D'Adamo - 25 Maggio 2014 - 19:25
Flagellum Dei
Band: Unearthly
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2014
Nazione:
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58

 

Dopo tre anni di attesa la Metal Age Production, finalmente, dà la possibilità ai brasiliani Unearthly di dare alle stampe il loro quarto full-length, intitolato “Flagellum Dei”.

Una lunga attesa che non ha per nulla invecchiato il suono del disco, giacché lo stesso è stato plasmato in una delle terre più avanzate in materia e cioè la Polonia, presso gli oramai leggendari Hertz Studio di Bialystok dalle sapienti mani di Wojtek e Slawek Wieslawski (Vader, Hate, Decapitated). Un imprinting talmente marcato che risulta difficile pensare a “Flagellum Dei” come a una creatura nata a Rio de Janeiro.

Da dimenticarsi, quindi, facili richiami a miti quali Vulcano, Sepultura e Sarcófago, per discendere invece negli inferi dipinti da Behemoth, Crionics e connazionali vari. Basta poco, del resto, per rendersene conto, poiché la distruttiva opener “7.62” pare essere un fedele tributo a Nergal e compagni: riff elaborati e maligni, eterno blast-beats dal forte sapore di trigger, cori riottosi e blasfemi. Un durissimo assalto frontale che non lascia alcun dubbio sulla granitica compattezza del quartetto verdeoro. Ma che non toglie nemmeno dalla testa l’idea di una sudditanza forse esagerata nei confronti del ‘polish death metal’, vero protagonista di quest’album più degli stessi autori. Tanto è vero che pure “Baptized In Blood” non si discosta poi molto dal succitato cliché. Ora, non bisogna pensare agli Unearthly come a dei semplici cloni dell’ensemble di Gda?sk, che sarebbe un giudizio troppo severo, ma certo è che la mente – in taluni passaggi (“Flagellum Dei”) – fa proprio fatica a non correre lì.     

Anche dal punto di vista compositivo, comunque, “Flagellum Dei” fa fatica a mostrare delle qualità che non vadano oltre a una sterile dimostrazione di forza e bravura esecutiva. In particolare è l’uso insistito dell’accoppiata ‘riff lenti/blast-beats’ che lascia a desiderare. Quest’antitesi cinetica, se prolungata, porta inevitabilmente alla stanchezza se non alla noia, poiché la discrasia fra i BPM degli accordi di chitarra e i colpi di rullante ‘suona’ già di per sé come innaturale, forzata. Come se parti dello stesso corpo procedessero con celerità manifestamente diverse, provocando distorsione e quindi dolore. E gli Unearthly, in questo, eccedono davvero, come si può ascoltare per esempio nell’ostica “Osmotic Haeresis (Part II)”. Anche con il precedente “Age Of Chaos” (2009) si poteva evincere tale tendenza, ma la sensazione è che ci sia stato uno step evolutivo solo in relazione alla qualità del sound e non alla personalità del medesimo.     

Invero, qualche tentativo di sganciarsi da uno schema piuttosto ripetitivo c’è, come dimostra il mid-tempo marmoreo di “My Fault”, anche se pare invincibile la tendenza del drummer a pestare pesantemente sull’acceleratore. Così, brano dopo brano, il platter si trascina sino alla fine senza particolari sussulti ed emozioni. Fine che, al contrario, con la strumentale “Exterminata” lascia intravedere, e nemmeno tanto velatamente, le origini latine della formazione sudamericana. E, soprattutto, le potenzialità da essa inespresse lungo tutto l’arco del lavoro. Una song intrisa di drammatica visionarietà e di quella melodiosità che, anche nel death, più aiutare a togliere quella patina di artificiosa freddezza che spesso lo accompagna.   

Un passo indietro a livello compositivo rispetto alle ultime produzioni, insomma, che toglie agli Unearthly la loro immediatezza e che fa di “Flagellum Dei” un ideale oggetto da dimenticatoio.

Daniele “dani66” D’Adamo
 

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