Recensione: Flames Everywhere

Di Riccardo Angelini - 18 Gennaio 2008 - 0:00
Flames Everywhere
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Anno: 2007
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Avantgarde: più che un genere musicale vero e proprio, una corrente artistica giovane, eterogea, difficile, per pochi. Un ambiente estremo nel vero senso della parola, restìo alle mezze misure. Chi ha successo in questo campo, può realisticamente puntare a un trionfo in grande stile – è il caso dei grandi nomi della scuola scandinava. Chi fallisce, rischia di cadere rovinosamente (come è successo ai loro tempi agli Einherjer o più di recente ai giovani Formloff). Per questo sarebbe consigliabile una certa prudenza nell’avvicinarsi all’avantgarde, sia da parte di chi ascolta, sia da parte di chi suona. Osare è sempre una scommessa.
I trevigiani And Harmony Dies hanno osato, e questo è un punto che va indubbiamente a loro favore. Hanno tentato di fare qualcosa di diverso dal solito, e in questo sono riusciti. Sotto altri aspetti tuttavia hanno fallito. E, purtroppo per loro, si tratta di aspetti tutt’altro che secondari.

Diverso non significa necessarimente migliore. Non è facile mescolare generi molto lontani tra loro, interni ed esterni all’universo metal: per evitare i pasticci sono consigliabili competenze tecniche di prim’ordine e una sensibilità artistica tanto fine quanto rara. Sotto entrambi questi profili gli And Harmony Dies mostrano evidenti lacune.
Il songwriting è quanto di più disomogeneo si possa pensare. Troppo frettolosi nel liberarsi di qualsiasi straccio di forma-canzone, i brani si dissolvono in uno sconclusionato flusso di coscienza che per troppa foga finisce per accatastare uno sull’altro frammenti e stralci sonori estrapolati dai contesti più disparati. Troppe sono le cose che non vanno. Non vanno le chitarre, che dovrebbero dare consistenza alla base black da cui prende le mosse buona parte dei brani, ma che si ritrovano continuamente schiacciate dal peso soverchiante di voci e tastiere. Non vanno le voci, del tutto inadeguate: troppo esile e inoffensivo lo screaming, spesso fuori tonalità il pulito, in tutte le sue differenti manifestazioni. Non va, infine, la costruzione dei brani stessi, instabili e confusionari, sovente senza capo né coda. “Burning Doubt” prova a intrecciare una molteplicità di linee vocali, lanciandosi persino in un imbarazzante duetto (quando il cantente resta uno solo), con risultati disastrosi. “Hurts” getta fra le ruote di un impacciato blast-beat cocci di campionamenti elettronici, techno, EBM, demolendo quel po’ di buono che la prima metà del brano aveva cercato di costruire con una seconda parte suicida. Come se non bastasse, la tredicesima e ultima traccia propone un tentativo di cover della seminale “At War With Satan” dei Venom, venti sadici minuti di agonia che mettono ulteriormente alla prova la concentrazione dell’ascoltatore, già fiaccata dai precedenti dodici capitoli. A peggiorare ulteriormente le cose ci si mette anche un concept piuttosto ingenuo e per molti versi adolescenziale, che in più parti sfiora – volontariamente o no – il confine con la parodia.

Nonostante l’impasse generale, la speranza è tenuta viva da alcuni spunti di un certo rilievo: l’accompagnamento di tastiere di “First Flames” suona piuttosto coinvolgente, la traballante “Inflames Set Afire Almost Burnt” offre a sorpresa un piacevole solo di chitarra classica, di tanto in tanto emerge qua e là qualche intuizione melodica azzeccata. Si tratta comunque di frammenti, briciole sparse che non riescono a rendere vincente un singolo brano nella sua interezza, così da condannare l’album a un’inevitabile bocciatura.

È inutile provare a indorare la pillola: in certe circostanze la diplomazia rischia di essere scambiata per una maschera ipocrita. C’è voglia di cambiare, di innovare, di creare qualcosa di diverso, e questo è senza dubbio un segnale positivo. I buoni dischi non nascono però dalle sole buone intenzioni. Gli And Harmony Dies non sono più una formazione di primo pelo: il loro nome è in giro già da una dozzina d’anni, e hanno in mano un contratto con la My Kingdom Music; non sarebbe lecito né rispettoso usar loro la clemenza che solitamente si cerca di riservare agli esordienti. “Flames Everywhere” è per chi scrive un evidente passo falso: c’è poco da salvare e molto da ricostruire. Starà alla band risorgere dalle ceneri di questo incidente di percorso e nel tempo dimostrare il proprio valore anche ai critici più severi.

Riccardo Angelini

Tracklist:
1. Burning Doubt
2. To Learn From Literature
3. Psychic Waltz
4. First Flames
5. Hurts
6. Blindness Inc.
7. Practice
8. Flames Everywhere
9. Reasons
10. Inflames Set Afire Almost Burnt
11. Time
12. Rising And Shining Soul
13. At War With Satan (Venom cover)

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