Recensione: FleshCraft
Nei giorni nostri sono talmente tante e ramificate le evoluzioni, contaminazioni e progressioni del death metal primigenio così come inventato da Possessed, Morbid Angel e Death, che è quasi impossibile trovare un’espressione completa del genere medesimo ‘così come mamma l’ha fatto‘. Il ‘quasi‘ è d’uopo poiché qualcuno c’è, che fa degli stilemi fondamentali del death la propria ragione di vita. Fra essi, ci sono i danesi Corpus Mortale, che calcano le scene dal 1993 e che, in quasi vent’anni di attività, hanno dato alle stampe un DVD (“Mass Funeral Pyre”, 2005), due demo (“Corpus Morta”, 1995; “Sombre And Vile”, 2002), tre EP (“Integration”, 1996; “Succumb To The Superior”, 2001; “Seize The Moment Of Murder”, 2006) e quattro full-length (“Spiritism”, 1998; “With Lewd Demeanor”, 2003; “A New Species Of Deviant”, 2007; “FleshCraft”, 2013), di cui l’ultimo, “FleshCraft”, è l’oggetto della presente recensione.
Con una premessa del genere, è evidente che i Corpus Mortale non mettano l’originalità al primo posto della loro filosofia artistica: la fedeltà assoluta alla linea è una qualità che essi non mettono mai in discussione, in “FleshCraft”. Non per questo, tuttavia, esulano dal costruire una proposta per nulla scontata ed elementare; intrappolando spesso l’ascoltatore in ragnatele armoniche marce al punto giusto ma anche geometricamente varie e articolate. In più, ed è qui il vero punto forte dei danesi, il loro sound è maturo e completo come pochi altri. Il fenomenale retroterra culturale posseduto da ciascun musicista e un’enorme esperienza nel campo (Carlos Garcia Robles: Heidra, Mechanical Chaos, Shredding Consequences, Fjorsvartnir (live), ex-Gothic, ex-Anton, ex-Makina; Brian Eriksen: Iniquity, ex-Atobic; Martin Rosendahl: Iniquity, Zahrim, ex-Atobic, ex-Human Machine, ex-Strangler, ex-Slow Death Factory, ex-The Cleansing, ex-Usipian) fanno sì che il disco ‘esca’ dagli speaker in modo sostanzialmente perfetto. Un suono potente, equilibrato, chiaro e ammantato da un sentore di morbosità né flebile né fastidioso che – al momento – si può tranquillamente prendere come voce enciclopedica per indicare il ‘pure death metal’ del terzo millennio. Death metal da individuare come punto di riferimento per chi, oggi, volesse intraprendere una strada parallela a quella percorsa dai Nostri. L’impressionante consistenza posseduta dalle tracce del platter, che non mostra nemmeno un secondo in cui la tremenda tensione emotiva abbia dei cali, regala quindi un vero e proprio masso ciclopico di granito i cui cristalli elementari presentano un’architettura stilistica senza soluzioni di continuità. Nel corso degli anni il trio di Copenhagen ha saputo fabbricare un marchio di fabbrica unico e dal forte carattere che, seppur, dalla foggia non rivoluzionaria, rappresenta una sicurezza e una certezza della forma non da poco.
Presi a uno a uno, Rosendahl, Eriksen e Robles non saranno degli artisti che faranno la storia del metal estremo, ma messi assieme varano una corazzata capace di solcare sicura, senza timore alcuno, i marosi sovraffollati del mare del death. Il primo affronta con tono stentoreo un growling mai sconfinante in trovate ‘lavandiniche’ e/o ‘suiniche’, preferendo la solidità della prestazione a un effimero – almeno per lo stile della formazione – tentativo di movimentare le linee vocali. La coppia di chitarristi, poi, sciorina tonnellate di riff che non sono così distanti dal thrash e da alcuni rimandi agli Slayer, che peraltro non rappresentano un’eresia data l’influenza che i californiani hanno avuto anche sul metallo della morte; lasciandosi alle spalle quel suono ‘zanzaroso’ che depotenzia, e non poco, il guitarwork di tanti act figli di Cannibal Corpse e compagni. Non poteva esimersi da cotanta coesione del sound anche la composizione, incentrata sull’impatto delle singole canzoni. Da “Weakest Of The Weak” a “Seize The Moment Of Murder” sono ben pochi gli istanti di tregua, che mettono quindi in condizione “FleshCraft” di non fare prigionieri.
A lungo andare questa corposità può in effetti stancare un po’ anche se, come più su accennato, la classe posseduta dai Corpus Mortale consente loro di azzeccare qualche soluzione in grado di tenere lontano la noia. Classe che non è acqua e che, per l’appunto, rende del tutto interessante un lavoro che fa della tradizione, ben radicata nel 2013, la sua arma migliore.
Daniele “dani66” D’Adamo
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Tracce:
1. Weakest Of The Weak 5:23
2. The Unwashed Horde 3:55
3. A Murderous Creed 4:15
4. Scorn Of The Earth 4:25
5. Love Lies Bleeding 4:17
6. Enthralled 5:09
7. Feasting Upon Souls 3:05
8. Crafted In Flesh 2:01
9. Tempt Not The Knife 4:02
10. Seize The Moment Of Murder 4:51
Durata 41 min.
Formazione:
Martin Rosendahl – Voce/Basso
Brian Eriksen – Chitarra
Carlos Garcia Robles – Chitarra