Recensione: Flight Of The Wounded
Koala, una fitta vegetazione, campi estivi adibiti alle più disparate attività ricreative e delle note in lontananza, diffuse nelle vostre orecchie come la risacca delle onde marine in pieno tramonto… Mettetevi pure comodi, col vostro drink su una rilassante amaca, perché oggi vi porto in Australia, terra natia di una band capace di sfornare album sempre bellissimi, che ha reso la propria musica un caposaldo del Prog Metal, facendosi spazio a suon di tecnicismi e melodie armoniose, ma al contempo adrenaliniche ed energiche: ladies and gentlemen, ecco a voi i Teramaze.
Trascendere il concetto stesso di tempo non è una cosa da tutti e, raramente, la musica ci pone di fronte ad opere talmente imponenti da farcene dimenticare quasi il significato stesso: pensiamo ad album del calibro di Season In The Abyss, degli ormai pensionati Slayer, che riecheggia come un tuono dirompente in una notte di tempesta; al capolavoro assoluto Images And Words dei mitici Dream Theater, che nonostante gli innumerevoli cambi di formazione, continuano a sfornare album di tutto rispetto. Al cospetto di queste divinità, cosa possono narrare i testi e le note delle nuove leve, sottoposte all’arduo compito di soddisfare gli apparati uditivi più fini ed esigenti? In questo panorama costantemente sotto esame, i Teramaze, ormai da anni, sono riusciti a scoperchiare il vaso di Pandora, trovando la giusta combinazione che gli portasse, come i loro idoli, sul tetto del mondo del metal, e consapevoli più che mai delle loro qualità, sfornano un album della durata di 60 minuti, impresa sicuramente ardua da sostenere, che posso assicurarvi darà del filo da torcere alle vostre emozioni dal primo istante in cui darete il via agli auricolari.
L’album si apre con la monumentale “Flight Of The Wounded” che nonostante la durata forse eccessiva per una opener, scorre in modo eccelso e per niente forzato, trascinando l’ascoltatore tra riff eleganti e tecnicismi sempre azzeccati, accompagnati da linee vocali di una bellezza che, senza ombra di dubbio, fa la differenza in una traccia che altrimenti avrebbe potuto annebbiare l’opera già dal primo ascolto. La seconda traccia “Gold” si dimostra degna di questo nome, dandoci quasi la possibilità di scattare una polaroid dell’età dell’oro, ricca dei fasti che l’hanno contraddistinta, tutto riportato in musica: una vera estasi racchiusa in un minutaggio tutto sommato accettabile. Il terzo brano dell’album, “The Thieves Are Out” , si apre con un riff molto accattivante, che cattura l’attenzione proprio come un ladro farebbe con la propria preda, che tenendoti stretto e ben saldo, ti fa capire fino in fondo che la posta in palio è molto alta e che niente può sottrarti al resto del viaggio al quale sei destinato; questo rapimento uditivo è sostenuto e ben orchestrato dalla solita, inimitabile voce del grandioso vocalist Dean Wells, che dimostra di avere doti non indifferenti anche alla chitarra, e fino ad ora i brani hanno suonato per lui.
Dopo una lotta estenuante riusciamo a liberarci dal nostro aguzzino e, privi di forze, intravediamo un bagliore in lontananza: “Until The Lights” sarebbe potuta risultare una delle migliori ballad degli ultimi anni, secondo chi scrive, ma si dimostra, alla somma dei suoi 6 minuti, una ennesima dimostrazione di come questo cantante sia una sorta di creatura discesa dai cieli, ma niente di più; veramente un gran peccato. “Ticket To The Next Apocalypse” cattura fin da subito con un riff che ricorda molto l’aggressività della band Disturbed, dando così una spiegazione solida e monolitica al suo nome, per tornare poi immediatamente ad incantare con la grandiosità del Prog che tanto amiamo e ci sta incantando fin’ora. Non mancano sprizzi di growl che arricchiscono, e non poco, il senso della traccia, rendendola di fatto fino a questo momento l’apice distruttivo di un percorso che non ha ancora finito di stupirci. Dopo un pezzo spaccaossa come questo il nostro corpo necessita di riposare, e la successiva “For The Thrill” ci arriva in soccorso come dell’acqua fresca in un’arida giornata d’estate: il riff ci trascina su giacigli accoglienti, mentre le note della voce di Dean ci fanno rilassare, trasportandoci in un sonno dolce ma al contempo irrequieto, dove “Dangerous Me” sarà il demone col quale dovremo fare i conti per proseguire sul nostro cammino. Con nostro stupore, e con una punta di delusione, ciò che credevamo un mostro impossibile da abbattere si dimostra in realtà soltanto un fantoccio innocuo che non può in nessun modo porsi di fronte a noi: è questa infatti la seconda e forse vera delusione dell’ultima fatica dei Teramaze, questa volta inciampati in uno scalino che avrebbero potuto benissimo evitare senza troppa fatica.
Rincuorati dalla nostra vittoria, proseguiamo la nostra battaglia con le ultime due colonne che si protraggono davanti a noi, “Battle” e “In The Ruins Of Angels”, rispettivamente di due carature completamente diverse: la prima molto meno imponente e pregiata, si presenta come una traccia dal piglio decisamente catchy ma, aimè, poco incisiva, specialmente ritrovandosi al termine del disco; la canzone conclusiva, al contrario, ricorda molto i Dream Theater dei fasti passati: riff poderoso a fare da apertura, una linea vocale memorabile e una sezione solista da brividi, segno tangibile e indelebile del passaggio degli angeli, che seppur esseri eterei e superiori, si mescolano tra noi per donarci questa musica epica da noi tanto amata.
I Teramaze, con Flight Of The Wounded, aggiungono un nuovo tassello al puzzle della loro grandiosa carriera, realizzando un album che rapisce con l’abilità di un ladro lungo la via dell’oro e dimostrando per l’ennesima volta di essere una delle più grandi realtà del Progressive metal moderno, superando l’ennesima battaglia contro i demoni del tempo e arrivando, così, ad innalzarsi splendenti come angeli in cielo.