Recensione: Fluid Existential Inversions

Di Gianluca Fontanesi - 2 Marzo 2020 - 0:05
Fluid Existential Inversions
Band: Intronaut
Etichetta: Metal Blade
Genere: Progressive 
Anno: 2020
Nazione:
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72

C’era grande attesa per il nuovo lavoro degli Intronaut, che viene alla luce cinque anni dopo il bellissimo The Direction of Last Things. Oltre al passaggio del testimone tra la Century Media e la Metal Blade, la prima cosa importante di cui parlare è del cambio alle pelli avvenuto nella band californiana. Lo storico batterista Danny Walker, allontanato per accuse di violenza domestica, è stato sostituito da un certo Alex Rudinger, che abbiamo già potuto vedere in azione con band del calibro di The Faceless, Whitechapel e Threat SignalFluid Existential Inversions è un’opera composta da otto brani più una breve intro e si assesta tra i cinquanta e i cinquantacinque minuti di durata.

Quello che gli Intronaut dimostrano per la sesta volta è il loro essere musicisti fenomenali e dal gran gusto creativo. Sono centinaia le influenze e le sfaccettature messe sul piatto da questi ragazzi e la loro proposta migliora sempre anno dopo anno. Rispetto al disco precedente, qui il sound è più liquido e multiforme e molto spazio viene lasciato a trame oniriche e caleidoscopiche.  Il progressive metal viene abbracciato ed esplorato in tutte le maniere possibili e immaginabili, vero e proprio marchio di fabbrica dei nostri, che sanno sia picchiare in maniera spietata che accarezzarti come una piuma a loro piacimento.

La cosa strana che balza all’orecchio, dopo diversi ascolti, è un grande punto interrogativo che si va a collocare sulla maggior parte delle linee vocali dell’opera. Sembra che sia stata riposta la massima cura e il massimo impegno nelle parti strumentali per poi ricordarsi alla fine che ci sarebbe anche andata una voce. Prima di tutto va segnalato un cambio di timbrica, che abbandona quasi totalmente growl e harsh in favore di un approccio più morbido e orecchiabile. Tutte le linee vocali scelgono sempre questa strada, la più soft, stucchevole, dalla melodia facile e dalle vocali lunghe, risultando spesso inconcludenti e soprattutto inutili. Alcuni brani del lotto offrono parti cantante per i primi due minuti per poi essere strumentali fino alla fine; a che pro? Tutto ciò non aiuta e non toglie certo di dosso il sentore di essere davanti a un’opera con due facce ben distinte. Detto questo, l’inserimento di Alex alle pelli è stato da manuale e non fa per niente rimpiangere il suo predecessore. La produzione è ovviamente stellare e lascia percepire ogni singola nota, con dettagli nuovi che emergono ad ogni passaggio e i suoni sempre azzeccati e potenti.

Fluid Existential Inversions si va quindi a collocare nella discografia degli Intronaut come un disco sì valido, ma che sarebbe potuto venire molto meglio. Tutto ciò che di buono è suonato, e che in molti frangenti supera anche The Direction of Last Things, viene inficiato da prove al microfono tutt’altro che memorabili. Non tutte sono da buttare, Procurement Of The Victuals e Contrappasso ad esempio funzionano meglio, tante però sarebbero da rivedere ed è un peccato, perché di questo disco alla fine ricorderete sempre i riff piuttosto che le voci, che riescono a mancare di convinzione anche quando cercano, per finta, di arrabbiarsi un po’.

Ci congediamo un po’ con l’amaro in bocca e ben consapevoli del fatto che non tutti i cambiamenti stilistici escono col buco. Bisogna anche accontentarsi però: gli Intronaut hanno comunque trovato Alex Rudinger, e ciò riempie il futuro della band di Los Angeles di grandi aspettative. Per adesso promossi ma con riserva, in ogni caso bentornati.

 

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