Recensione: Fly in the Trap
I ragni, dall’angolo buio in cui sono rintanati (il disegno di copertina?), osservano tutto, catturando le mosche con la loro tela invisibile. Dalla seta sono nati gli Spider God, ignota formazione britannica che, con “Fly in the Trap”, raggiunge il traguardo del secondo full-length in carriera.
Un concept. Che narra, scavando nel mistero, dell’agghiacciante mistero di Elisa Lam, la giovane donna cino-canadese il cui corpo è stato trovato a Los Angeles nel 2013, immerso nella cisterna dell’acqua posta sul tetto del suo hotel.
Tematiche quasi cinematografiche, insomma, che si sposano con il black metal macinato nel disco. Di più, melodic black metal, di stampo classico, lontano cioè da esperimenti e contaminazioni, che ha contraddistinto tantissime band nel corso dei lustri. Del resto il metallo nero si presta come pochi per fungere da base di partenza per parecchi sottogeneri (depressive, post, raw, symphonic, atmospheric, e così via) e generi. Come l’avantgarde. Con il risultato che l’annoso black melodico, ormai numericamente ridotto rispetto al resto, continua a esistere e resistere imperterrito, mantenendo tutto sommato intatti gli stilemi di partenza. Diventando così, paradossalmente, elemento di nicchia.
E nella nicchia ci sono loro, gli Spider God, impegnati nell’elaborazione della propria musica. La quale pone come principale caratteristica del suo essere la potenza. Melodia, sì, e anche tanta, ma soprattutto furia scardinatrice. Lo sconosciuto numero dei membri non deve ingannare più di tanto, poiché l’impatto sonoro è quello classico, derivante da un gruppo che mulina i soliti attrezzi del mestiere.
E dalla voce. Incanalata verso uno screaming non esagerato, anzi modulato a seconda delle note su cui si muove. Si direbbe uno screaming cantato, tanto per capire. Come se fosse uno strumento in più, insomma. Il che comporta linee vocali intelligibili, ideali per mostrare la parte più visibile del platter. Il tono è vagamente malinconico ma, anche in questo caso, senza scivolare nella depressione. Aiutano, inoltre, alcuni cori di supporto davvero coinvolgenti.
Per il resto, la furia scardinatrice del drumming – aiutato nella sostanza da un tremendo rombo generato dal basso – , spesso impegnato a scatenare micidiali bordate di blast-beats, si mostra con un buon numero di sfaccettature, variando il numero di BPM sino, anche, ai mid-tempo. Invece di un sound spesso zanzaroso in questa foggia artistica, la chitarra eietta riff granitici, rocciosi, induriti dalla tecnica del palm-muting. Un muro di suono inamovibile, cui schiantarsi a tutta velocità, abbellito dai generosi e apprezzabili disegni della solista, spesso e volentieri coincidenti con il leitmotiv dei vari brani.
Il che non è poco, in termini di abilità compositiva, giacché così facendo, il combo del Regno Unito riesce con facilità a buttar giù otto tracce piuttosto diverse le une dalle altre. Ciascuna dotata di alcune punte di notevole orecchiabilità che costringono il cervello a reiterarle anche una volta terminati gli ascolti dell’album. Una continuità sorprendente, dato che non sono poi tanti gli act a creare un’hit (sic!) per ciascuna delle song dell’opera.
Gli Spider God, in definitiva, non inventano nulla di nuovo. Melodic black metal era, melodic black metal resta. Tuttavia, quel che viene fuori da “Fly in the Trap” è, semplicemente, della buona musica. Piacevole da ascoltare anche per coloro che non siano fan sfegatati del (sotto)genere suddetto.
Promossi abbondantemente.
Daniele “dani66” D’Adamo