Recensione: Follow Your Fate
Quando si ha a che fare con le autoproduzioni, a volte si toccano con mano oggetti raffazzonati alla bell’è meglio, lontani un miglio da un seppur minimo taglio professionale.
Così non è, anzi, per i lombardi Hell’s Guardian, autori di un debut-album, “Follow Your Fate”, incredibilmente curato in ogni suo minimo aspetto. Confezione, artwork, libretto dei testi, foto e grafica non hanno nulla da invidiare alle migliori lavorazioni specializzate, così come il suono, arricchito da partecipazioni di musicisti vari, registrato, missato e masterizzato da Fabrizio Romani ai Media Factory Studios.
Un suono abbondante, ricco di orpelli, forse più vicino al power sinfonico – e all’heavy classico – che al melodic death metal, anche se il growling rabbioso di Cesare Damiolini lo caratterizza in modo pressoché univoco. Anche perché non è da trascurare la componente epica, legata al genere nordico che più si avvicina al death in tale fattispecie e cioè al viking. Una commistione di genere che non intacca minimamente uno stile già a buon punto nella sua configurazione definitiva, la quale non si può, in ogni caso, calibrare sulle caratteristiche principali del death melodico, appunto. Del resto, la già raggiunta continuità estetica del sound si può apprezzare nell’insieme che abbraccia le undici canzoni del CD, poiché non ci sono differenze di disegno e di colore, da “Forgotten Tales” e “Middle Earth”. Se non, ovviamente, la tipicità di ciascun singolo episodio.
Dissertazioni tipologiche a parte, di “Follow Your Fate” si può apprezzare l’evidente, grande cura profusa dal quartetto di Brescia nella stesura dei brani, composti in maniera praticamente perfetta. Forse, ‘troppo’, perfetta. Sì da togliere quella patina di frontale immediatezza che un genere musicale come il metal, anche estremo, deve avere. Inoltre, appaiono ancora da mettere a posto le linee vocali pulite, non ancora decise e sicure come si dovrebbe. Ma, per ciò, basterà solo un po’ di allenamento, giacché le stesse sono inserite nei pezzi al posto e momento giusto.
Comunque, si tratta di appunti che non inficiano gravemente il più che sufficiente valore complessivo del full-length e della formazione italiana. Bisognosa, forse, di lasciarsi andare solo un po’ di più, dimenticandosi di certi cliché ormai abusati che, oggi, è meglio mettere in soffitta. E, come già rilevato, di rinforzare le corde vocali!
Daniele “dani66” D’Adamo
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