Recensione: For God Your Soul… For Me Your Flesh [Reissue]
Fetidi, immondi, luridi, vomitevoli, disgustosi, putridi… e sono tutti complimenti eh! Certamente quelli che averebbero voluto i Pungent Stench all’alba dei ’90, quando decisero di rivelarsi al mondo discografico mediante il loro esordio intitolato sommessamente “For God Your Soul… For Me Your Flesh” (seppur preceduto da uno split con i conterranei Disharmonic Orchestra e da un EP di tre tracce). Una dichiarazione di cannibalismo battezzata dall’allora fiammeggiante Nuclear Blast. Parte delle critiche furono le stesse riservate al debut degli Obituary (uscito appena un anno prima), ovvero l’impietosa falcidiazione di ogni velleità musicale per una band che faceva della macelleria sonora il proprio trademark. E gli Stench, come gli Obituary, non solo emettevano rumore a livelli inauditi (leggi “death metal”) ma parevano bearsi anche di una imperizia tecnica e di una grezzura esecutiva davvero con pochi termini di paragone, perfino nel becero mondo della borchia. Al primo ascolto effettivamente ciò che lasciava più sconcertati era il livello di barbarie primitiva dei souni, la grossolana e rudimentale tecnica esecutiva. Gli Stench ci facevano o ci erano? Poi l’Austria, terra metallicamente periferica… esistevano band austriache (note fuori dai confini patri) prima degli Stench? Con loro e i citati Disharmonic Orchestra ha iniziato ad avere cittadinanza il metal estremo in casa degli Asburgo (poi sono arrivati Cadaverous Condition, Angizia, Golden Dawn, Abigor, Summoning e Belphegor). C’è stato un momento in cui la “tranquilla” Mitteleuropa concorreva ad armi pari con gli States quanto a violenza concettuale ed esecutiva (e le armi si chiamavano Coroner, Celtic Frost, Pungent Stench, Disharmonic Orchestra, Messiah, Alastis, Samael).
Certo gli Stench erano piuttosto oltranzisti quanto a provocazione verso il buon gusto ed il politicamente corretto; “For God Your Soul…” fu un disco spartiacque per molti death metallers che dovettero decidere nell’arco di quei 41 minuti da che parte stare, se rifiutare tanta bestialità o accoglierla a braccia aperte come un nuovo passo (entusiasta) verso l’abisso della depravazione e del caos entropico (a sfondo oro-rettale). Indubitabilmente l’accoppiata chirurgica “Reek Of Putrefaction“/”Symphonies Of Sickness” rappresentò un modello di riferimento per i Pungent Stench, i quali ebbero chiara e lampante davanti ai propri bulbi oculari marci quale dovesse essere la direzione musicale da intraprendere, a costo di marciare sui cadaveri, cosa che in effetti fecero. Repulsion, Terrorizer, Master furono il manipolo di risicati nomi a cui fare riferimento per tentare di inquadrare la proposta sonora di questi viennesi degenerati, senza tralasciare l’influenza sinistra che derivava anche da acts più doomish (come i Saint Vitus) o financo hardcore-punk (Agnostic Front) Né probabilmente è da sottovalutare un’eventuale eco dei Napalm Death, visto che Wank fu presente ai Birdsong Studios di Worcester mentre veniva inciso “From Enslavement To Obliteration” e successivamente gli studi vennero affittati proprio dagli Stench. Forte di un nerissimo sense of humor, cialtrone e sguaiato, tanto quanto la tortura inferta agli strumenti in sala di registrazione, il trio Schirenc–Wank–Perkowski partorì 10 tracce al limite della sanità mentale (ma i demo circolavano già dall’88), tutte incancrenite su tematiche rigidamente corporali, degne del peggior Cronenberg. Chitarra, basso e batteria suonavano davvero come se fossero state composte di membra, cartilagini, muscoli, nervi umani, molli e umidicci. Si sentiva ogni sorta di liquame organico scorrere lungo le pareti delle casse dello stereo mentre la track list di “For God Your Soul…” letteralmente vomitava i suoi inni all’autopsia ed all’autofagocitamento.
L’album è death metal ai minimi termini, bombardato di drum patterns imprecisi e arruffati, assoli di chitarra improvvisi, pazzoidi e sconclusionati, alla maniera degli Slayer (con le dovute differenze del caso….), riff geniali buttati alla “come viene viene” in un contesto anarchico e disordinato, tuttavia estremamente genuino e lugubre, accelerazioni e rallentamenti del tutto slegati reciprocamente, liriche grottesche e oltraggiose, un growl piuttosto peculiare, con un sapore (effettato) metallico, nel senso proprio di retrogusto di rame, cromo ed alluminio. Il timbro di Schirenc è sempre rimasto diverso da quello di altri growler, riconoscibile, a metà strada tra la musica estrema ed un ogre infernale tenuto a dieta forzata per settimane. Ancora manca la commistione tra death metal e blues che caratterizzerà fortemente l’impronta della band negli album a venire, tuttavia alcuni momenti (anche intrisi di doom acido e sepolcrale) fanno baluginare quello che questa strana creatura musicale diventerà in futuro, come nella title track o in “A Small Lunch“. Il disco è un “cestello pranzo” da prendere in blocco, crogiolandosi nelle aberrazioni che i tre austriaci sono stati in grado di partorire. “Bonesawer“, “Blood, Pus And Gastric Juice” (un vero anthem per gastroenterologi), “Pungent Stench“, “Extreme Deformity” sono capolavori di necrosi e putrefazione, ma davvero non c’è un singolo momento fuori posto in un album così singolare, radicale e crudamente audace. Che gli Stench non fossero dei Dream Theater del pentagramma all’epoca è autoevidente, che avessero una certa fascinazione anche per gentaglia come Motorhead o Venom altrettanto, ma pur con tutti i se ed i ma del caso, attenuanti e/o aggravanti comprese, “For God Your Soul…” rimane un passaggio obbligato ed ineludibile per un cultore della musica death da che metal è Metal.
Una copertina maleodorante che riproduce l’opera di Joel Peter Witkin intitolata “From a Collection of Relics and Ornaments” (ma il tanfo lo preannuncia già il monicker) ed un’ondata irrefrenabile di pessimo gusto stavano per aggredire le anime belle e i cuori deboli nel 1990. Oggi, a distanza di quasi 30 anni, Dissonance Productions ristampa il catalogo della band, a cominciare dal debut, rimasterizzandoilo e corredandolo di un’enormità di materiale bonus. Qui abbiamo addirittura due CD per un totale di 40 brani. Il disco in versione rimasterizzata appunto e ben due live set, entrambi risalenti all’89, uno a Vienna, uno in Germania (ecco, semmai l’unico appunto poteva essere perlomeno differenziare un po’ gli anni di riferimento). E’ l’occasione per rimediare alla lacuna di non possedere la discografia dei Pungent Stench o per integrarla laddove qualche pezzo (pregiato) dovesse mancare. Necrofilo avvisato…mezzo salvato.
Marco Tripodi