Recensione: For Those about to Rock

Di Abbadon - 18 Febbraio 2003 - 0:00
For Those about to Rock
Band: AC/DC
Etichetta:
Genere:
Anno: 1981
Nazione:
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75

1981, Australia. La band rock simbolo del paese, gli Ac/Dc, è ai massimi storici in termini di popolarità ed apprezzamento da parte dei fans, sempre più numerosi, questo soprattutto alle uscite nei due anni precedenti degli esplosivi e stupendi “Highway to Hell” e “Back in Black”. In Highway ancora cantava il leggendario Bon Scott, e con la sua morte, seguita dall’ingresso della band di Brian Johson , più di una persona pensava che gli Ac/Dc non sarebbero stati più stata la stessa cosa. Back in Black aveva clamorosamente smentito questa tesi, visto che Brian si era dimostrato più che degno sostituto, sia da un punto di vista del cantato (sebbene sia chiara anche al primo ascolto la differenza tra i due cantanti, troppo diverse le voci da mettere a confronto), sia sul piglio che riusciva a trasmettere ai suoi fans. Sulla scia di tutti questi avvenimenti, Angus Young e soci sono quindi pronti a mettere sul mercato il secondo album con Johnson alla voce, ed esce quindi “For Those about to Rock”. Sebbene non raggiunga i livelli dei suoi due predecessori, l’album si dimostra comunque uno di quelli che entrano con la pipa nelle collezioni di ogni buon rockettaro, in quanto veramente le mosse sbagliate dai fratelli Young e dai loro compagni di gruppo, sono veramente poche nei vari brani, dieci per la precisione, presenti in nel disco. Stilisticamente, come sempre per un album targato Ac/Dc, vi è un netto predominio della chitarra di Angus, seguita alla perfezione in primis dalla voce e dalla batteria, e via via da tutti gli altri strumenti, che fanno in modo pulito il loro dovere, senza strafare. Strafare è invece verbo che non si pone neppure per il leader della band più famosa d’Australia, in quanto fa apparire tutto come semplice lavoro di routine, per la semplicità con cui vengono eseguiti in maniera disarmante (in senso positivo) tutti i passaggi di sua competenza all’interno delle varie song.

E allora vediamole queste dieci song, che compongono “For those About to Rock”, e che ci accompagnano per circa 40 minuti di musica.

Si viene subito accompagnati da una docile melodia di accompagnamento che ci porta pian piano verso il cuore della title track, che si presenta inizialmente come un pezzo imponente, con un ritmo medio basso, dove la fa da padrone soprattutto Brian Johson, che si esprime su ottimi livelli, accompagnato dal classico duo batteria chitarra in maniera decorosa, ma inizialmente a mio avviso molto al di sotto di quelle che sono le possibilità della band. Infatti, almeno a me, questa “For those About to Rock” annoia abbastanza fino al primo assolo, dove man mano il ritmo aumenta gradatamente fino ai quattro grandi colpi di un possente cannone, che fa esplodere letteralmente la canzone, che diventa un pezzo splendido, rapido, con una spettacolare lead guitar, che chiude una track che sicuramente a primo impatto può deludere ma con un po’ di pazienza si dimostra una eccellente title track, degna della fama dei suoi compositori. Introduzione simile ma esito decisamente diverso e più accattivante si ha invece per “Put the Finger on you”, canzone di media velocità, impostata a mio avviso su una ottima scala musicale, e soprattutto canzone che accompagna subito l’ascoltatore senza fronzoli, senza eccedere tuttavia in niente di particolare, tranne forse nei refrain finali, dove causa un aumento di volume della chitarra, si ha l’impressione ancora maggiore di essere veramente trascinati via. Buona anche la terza canzone del disco, “Let’s get it up”, che parte lenta ma comunque decisa. Come sempre Angus trascina con la sua melodia l’ascoltatore, e pure la voce risulta essere abbastanza pulita e coinvolgente. Sottomedia il ritornello, ma buona la musicalità delle strofe e anche l’assolo è degno di nota. Subito intrigante anche “Inject the Venom”, specie grazie alle alternanze voce senza strumento e strumenti senza voce. Il pezzo poi si sviluppa con un ritmo relativamente tranquillo, che appaga l’ascoltatore, senza però esaltarlo, almeno questo è l’effetto che fa la canzone a me, che complessivamente è diciamo senza infamia e senza lode, in quanto si bella, ma inferiore alle altre, nonostante lo stupendo assolo, purtroppo troppo breve. Brano che chiude la prima metà dell’album è la scintillante “Snowballed”, pezzo corto e velocissimo per gli standard del disco per quanto riguarda le strofe, fatte anche qui con una scala musicale azzeccatissima per la velocità del pezzo. Enfatizzato il refrain, che tuttavia non pare nulla più che discreto. Assolo spettacolo, lo so di ripeterlo praticamente per ogni canzone, ma che ci posso fare se Angus Young sa esaltare le masse, finchè suona così io dovrò sempre dire assolo spettacolo o frasi simili.

La seconda metà del CD si apre con una potente marcia, che ci porta in pompa magna dentro “Evil Walks”, canzone dove la musica asseconda pienamente il titolo della canzone, sicuramente coinvolgente nonostante non eccessivamente veloce, che attira tantissimo l’attenzione di chi ascolta, che si trova perso tra le note degli Ac/Dc come in pochi altri componimenti di “For Those About to Rock”. In “C.O.D”, acronimo di Code of Devil, la voce di Brian Johnson risulta dominare sugli strumenti, almeno all’inizio, in quanto con lo scorrere della track la situazione musica/voce, che sicuramente si sposano alla perfezione, si equilibra di più, esibendo magari non esuberanza come in tanti pezzi precedenti, ma comunque godibilità e tecnica, che gli amanti della musica non possono certo non notare, tecnica che ci accompagna nella terzultima “Breaking the Rules”, che risulta essere molto singolare, forse un gradino sotto le altre perle dell’album, forse per l’accompagnamento un pochino approssimato, soprattutto nelle strofe, che lasciano onestamente un po’ di amaro in bocca. Stupenda invece è “Night of the Long Knives”, pezzo di Hark Rock come più puro non ce ne possa essere aggressivo e pesante ma non troppo, dotata della giusta enfasi, di media velocità, ma con riff tremendamente azzeccati. Chiude il disco “Spellbound”, canzone decisa, carismatica potremmo dire, anche abbastanza melodica, che dicevo chiude in maniera valida “For Those about to rock” così come la title track aveva aperto un disco come già detto abbastanza inferiore ai suoi due predecessori, ma che comunque, grazie a una tracklist veramente omogenea e di buon livello complessivo, non dovrebbe mancare nella discografia di un vero Rocker.

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