Recensione: Forefathers: A Spiritual Heritage

Di Claudia Gaballo - 3 Aprile 2020 - 15:37

I GOD The Barbarian Horde sono uno dei tanti gruppi folk metal che arrivano direttamente dall’est Europa, Romania per la precisione. Fondata nel lontano 1993 come VOMA, questa band ha origini grindcore che si sono evolute in sonorità più oscure fino ad arrivare al folk di ispirazione storica.

Se il gruppo ha un passato dinamico, anche la storia personale di questo “Forefathers: A Spiritual Heritage” non è certo lineare. I pezzi sono infatti nati nei tardi anni 2000 quando la band risiedeva in Portogallo; l’uscita dell’album è stata posticipata nel tempo, poi qualche brano è confluito in degli EP e qualcun altro è rimasto inedito. Nel 2019 l’opera viene nuovamente registrata in Germania e vede la luce nel mese di dicembre.

I GOD offrono tutto quello che i fan del folk metal amano: epicità, atmosfere fantasy e medievali, canzoni goderecce da taverna. Il loro stile è caratterizzato da pezzi più pesanti, con un forte impiego del growl e un’impostazione più solenne, alternati a momenti di puro folk gitano con tanto di flauti e fisarmoniche. Insomma, non sai mai cosa aspettarti dalla prossima traccia.

Il brano di apertura del disco, ‘Chemarea Strămoșilor (The Call Of Ancestors)’ racchiude nei suoi 11 minuti entrambe queste anime della band. Si apre con degli archi che inizialmente sembrano fuori luogo ma poi si trasformano in una possibile colonna sonora per The Elder Scrolls; poi il brano prende una bella forma solida, epica, ma si interrompe drasticamente per cambiare ritmo e tramutarsi in una danza popolare; si continua con questa alternanza fino alla fine. Suona tutto molto confuso, ma suona anche molto bene. Troviamo una simile impostazione anche in ‘Legea Pământului (The Code Of The Land)’; c’è una bella voce lirica che emerge in alcuni momenti, ma quel blast di sirena in sottofondo più che ispirare scenari fantastici rimanda a qualche finale di campionato.

Licoarea Zeilor (Ayle, Nectar Of The Gods)’ e ‘Datina Mesagerului (The Messenger’s Rite)’ fanno parte dei brani più leggeri, dall’animo folk. La prima è una “canzonaccia” per bere e divertirsi che ci riporta ai Korpiklaani di ‘Beer Beer’ o ‘Tequila’. La seconda crea un’atmosfera di festa, leggera, un po’ fatata: non sarà il brano più cazzuto del disco, ma è senza dubbio uno dei più belli.

In quanto a brani cazzuti, qui troviamo ‘Străbunii (The Forefathers)’ e ‘Triburile Înfiorătorilor Codrii (Tribes Of The Frightening Forests)’, che offrono quel buon mix di metallo e fiati che ci piace tanto.

Unico neo dell’opera sono questi cambi di ritmi improvvisi e un generale senso di poca uniformità che a volte rendono tutto molto caotico, ma potrebbe essere un effetto voluto e tutto sommato avrebbe senso. Per il resto, questo “Forefathers” fa venir voglia di ballare ed è anche un omaggio alla storia, all’epica e alle religioni antiche: tutto quello che si può cercare in un album di questo genere.

 

 

 

God - Encyclopaedia Metallum: The Metal Archives

 

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