Recensione: Forever Wild
I Crazy Lixx hanno trovato la formula giusta. Un gruppo di simpatici rocker svedesi che non possono ricordare neanche un minuto degli anni ottanta, se ne sono innamorati al punto da riprodurne filologicamente atmosfere, look e, ovviamente, melodie e arrangiamenti.
La formula giusta, si diceva. Sì, perché i Crazy Lixx sono in grado di suonare credibili, pur ripetendo un modello che dovrebbe ormai mostrare i propri limiti e che, invece, continua a risorgere proprio grazie al proprio ripetersi; e che ha trovato nella Svezia una cifra stilistica nuova e, inaspettatamente, dotata di una notevole personalità distintiva. Una formula fatta innanzitutto di riff eccellenti, che fanno da solido supporto a pezzi d’immediato impatto, ma non per questo di distratta ed effimera fruizione.
A più di dieci anni dal primo disco della band, Forever Wild non aggiunge niente di nuovo: ma lo fa benissimo, in virtù di una bella dinamicità favorita da una scrittura varia, pur nell’assoluta sua canonicità.
Insomma, i Crazy Lixx non sono emersi a caso dal folto sottobosco delle band che si rifanno all’epoca d’oro (e dorata) dell’hard rock, che potremmo declinare ulteriormente come glam, sleaze, street e compagnia bella.
Riffing di qualità, dunque, che si accompagna a refrain bombastici e goderecci: Wicked e Break Out lo stanno a dimostrare. Ma è forse Silent Thunder il pezzo simbolo di Forever Wild: scelta quale singolo dell’album, Silent Thunder trasuda anni ottanta, incredibilmente senza scadere (troppo) nella banalità del già sentito. Andate a guardarvi il video che l’accompagna: vi sembrerà di essere tornati sui caccia di Top Gun.
Ma Forever Wild ha il pregio della variabilità. Ed ecco, dunque, una Eagle, che rallenta e si fa quasi heavy metal, candidandosi ad essere il pezzo migliore del lotto.
Se Terminal Velocity paga troppo pegno agli stilemi dell’hard rock svedese (gli H.E.A.T. della fase centrale di carriera restano irraggiunti in questo), It’s You pare saltare fuori da un disco di Bon Jovi di metà anni ottanta, con la sua melodia scanzonata e dinamica, che in vero incide non troppo.
E cosa non deve mancare in un disco hard rock degli anni ottanta? Ovviamente la power ballad di turno, che arriva puntuale con Love Don’t Live Anymore. Canonicissimo, quasi paradigmatico, il pezzo non ha l’obiettivo di stupire nessuno, ma esegue bene il proprio compito. Un tempo avrebbe attizzato accendini ai concerti: oggi, più prosaicamente, illuminerà qualche schermo.
Ancora profumo di semplice e ben fatto hard rock svedese in Weekend Lover e in Never Die (Forever Wild), quest’ultima dotata di un buono spessore di scrittura, anche se scade in una certa scontatezza all’altezza del ritornello.
Vi consiglio Forever Wild. Se conoscete i Crazy Lixx, saprete benissimo cosa vi offrirà. Se, invece, vi siete incuriositi e orami i solchi dei vostri vinili dei White Lion sono consumati, Forever Wild è una dorata (ancora!) porta d’ingresso al mondo della band svedese: che è sì nostalgico di un tempo ormai lontano, ma non cristallizzato al punto da divenire statico. Ed è un pregio.