Recensione: Foreword
Tutto torna, prima o poi. Ricordo, quando recensii Living mirrors, seconda prova dei Disperse, un certo sgomento tra i fan che avevano conosciuto la band polacca già al debut Journey through the hidden gardens. Il punto principale era che, all’opera prima, un po’ acerba ma comunque tecnica, acida e visionaria, aveva fatto seguito un album più canonico, se non “ruffiano”. Un album che, ciò nonostante, a chi scrive era piaciuto. Ma molti avevano accusato i Disperse di essersi venduti.
Trascorsi quattro anni, eccoli tornare con Foreword, il terzo disco che, vuole il proverbio, corrisponde alla consacrazione. Senza girarci intorno, possiamo dire che dio consacrazione si tratta, almeno in termini di pubblico. Ma quello sgomento provato da alcuni all’uscita di Living Mirrors, è stato avvertito dal sottoscritto, un mesetto fa, al momento di vedere il video promozionale del nuovo album, Tether. “Oddio, i Disperse si sono trasformati nei Temper trap”, ebbi a pensare. Traducendo: “il gruppo polacco si è trasformato in un complesso radiofonico di indubbia qualità e raffinatezza, ma pure piuttosto innocuo e a tutti gli effetti più prossimo al pop che al progressive metal”. Ma tant’è, anche gli Haken hanno dato alle stampe Earthrise solo un anno fa, ed è anche vero che le melodie del prog rock hanno sempre avuto un’attitudine pop, se non Beatlesiana.
Immergiamoci dunque, scevri di pregiudizio, in questo Foreword. Un disco che non nasconde, in alcuna sua nota, la sua voglia di piacere a un pubblico che sia il più valido che sia. Al di là delle atmosfere sospese che hanno sempre contraddistinto i polacchi, la loro tecnica di songwriting è stata affinata verso il radio oriented, la produzione è ultrapulita e i riff del genietto Jakub Żytecki entrano in testa al primo ascolto.
Ciò però non significa che il disco sia da buttare, al contrario: il songwriting denota una maturità che ormai ha già raggiunto livelli elevatissimi e la proposta sonora, per quanto ruffiana, ha parecchio da dire. Foreword, sembra un curioso incrocio tra le sonorità di Tesseract e Karnivool da un lato e l’accessibilità dei Frost* dall’altro.
Per un risultato davvero devastante. È impossibile resistere alle atmosfere terse della opener Stay, così come della successiva Surrender, che comunque presentano diversi breack in cui i Disperse si dimostrano ancora capaci di una certa durezza. E sono due pezzi che presentano a meraviglia un album incredibilmente compatto, e badate bene che tra “compatto” e “le canzoni sono tutte uguali” la differenza sa essere profonda. Davvero fenomenale poi la suittona Does it matter how far, 10 minuti che, se da un lato rinunciano del tutto alla pesantezza, dall’altro conquistano e sono in grado di portare lontano. Ma davvero, difficile scegliere tra una canzone e l’altra, perché comunque la qualità rimane alta in tutto l’arco del disco.
Dunque, accantonando la paura (parecchio fondata e, purtroppo, corroborata da alcuni elementi “indifendibili” in certo passaggi), che in futuro i Disperse di trasformino in un gruppo radiofonico con qualche pallido rimasuglio di progressive, al momento non resta che godersi un disco molto valido, che ci consegna una band sempre più in grado di creare canzoni sì easy listening, ma pur dominate da atmosfere sognanti mozzafiato. Disco assolutamente consigliato per i viaggi, o per le vacanze al mare (ma meno tradizionale è la destinazione, meglio è). Ma soprattutto, disco che si conferma durare anche sul lungo periodo.