Recensione: Free Fall Into Fear

Di Alessandro Calvi - 7 Marzo 2005 - 0:00
Free Fall Into Fear
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Anno: 2005
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68

I Trail of Tears sembrano essere un po’ sfortunati con le proprie voci femminili. Nel 2000 si son separati dalla loro prima storica cantante Helena Iren Michaelsen, in breve tempo hanno trovato una sostituta dietro al microfono in Cathrin Paulsen con la quale hanno registrato il disco precedente a questo intitolato “A New Dimension of Might” pubblicato nel 2002. Nel 2004 infine, a poco meno di 2 anni dall’entrata nel gruppo, anche Cathrin lascia la band dopo aver contribuito a parte delle registrazioni di tre canzoni del nuovo album.

Il gruppo però non si perde d’animo e decide di terminare il disco senza ulteriori cambi di formazione, ne nasce quindi il fatto che i Trail of Tears hanno tentato di fare buon visto a cattivo gioco cambiando un po’ le canzoni. Particolare quest’ultimo che sembra sinceramente non aver influito in maniera negativa sul sound della band, al contrario sembra essere stato effettivamente l’avvenimento che tutti i musicisti stavano aspettando. Di disco in disco finora infatti il gruppo sembra aver compiuto una evoluzione musicale all’opposto rispetto a tante altre band gothic, invece di puntare sempre più sulla voce femminile e su musiche più orientate al goth-rock che al metal, i Trail of Tears hanno fatto l’esatto contrario incupendo e appesantendo sempre più il sound, fino alla quasi ovvia conseguenza di abbandonare la voce femminile per puntare solo su quella maschile molto bassa e spesso in growl.

Tocca a “Joyless Trance of Winter” aprire l’album e lo fa rimanendo sempre in bilico tra tra il gothic-doom per esempio dei My Dying Bride degli inizi e un gruppo di buon black-sinfonico, alternando frequenti passaggi più lenti e riflessivi in voce pulita e accompagnamento sinfonico, ad altri più veloci e aggressivi con batteria e chitarre furiose con il sottofondo delle tastiere. Un brano tra i più orecchiabili del lotto e per questo sicuramente piazzato come opener allo scopo di attirare subito l’attenzione dell’ascoltatore.
A seguire troviamo “Carrier of the Scars of Life” in cui gli elementi già presenti nella prima song vengono ripresi ed esponenzialmente sfruttati, decisamente azzeccati a mio avviso i duetti tra la voce pulita e la voce growl, così come il forte contrasto che si crea sentendo gli strumenti suonati velocissimi mentre la voce pulita canta a una velocità decisamente inferiore.
Si fa decisamente notare anche la quarta traccia intitolata “Cold Hand of Retribution”, in questo caso il contrasto è dato esclusivamente da ritornello e strofe, il primo suonato lento, melodico, con voce pulita, mentre le seconde presentano un velocissimo e violentissimo sound di tipica marca black, si tratta inoltre di una delle poche song in cui troviamo qualche brevissimo passaggio della voce femminile. È sicuramente una delle tracce più semplici dell’album, ma anche più orecchiabili, inoltre le sfuriate sono sicuramente d’impatto e catturano l’attenzione, tanto è vero che si tratta di una delle mie canzoni preferite.
Interessante, anche se su binari completamente differenti, la settima “Drink Away the Demons” che alterna momenti veramente cupi, in cui anche la voce sussurrata fa la sua parte nel creare la giusta atmosfera, con altri più di sapore quasi goth-rock. Si tratta inoltre di una canzone pesantemente effettata, in cui gli effetti elettronici della tastiera e della voce contribuiscono in maniera preponderante al sound del brano. Esperimento carino, che si fa sicuramente ascoltare senza problemi, anche se per fortuna caso unico lunga tutta la tracklist dell’album.

Dal punto di vista sinceramente si tratta di uno di quei pochissimi album in cui non mi sento di criticare alcuna scelta. Sia i suoni che il mixaggio dei volumi degli strumenti e delle voci mi han convinto fin dal primo ascolto. Tutto l’album suona in maniera veramente splendida e si sente che dietro deve esserci stata una produzione veramente di primo livello, la potenza stessa è veramente impressionante anche tenendo lo stereo a volumi normalmente considerati bassi.

In conclusione si tratta di un album che per i fan della prima ora della band potrebbe risultare forse un pochino di difficile assimilazione a causa del leggero cambio di coordinate musicali del sound del gruppo. Si tratta altresì però di un disco che potrebbe far conquistare ai Trail of Tears anche una nuova fetta di pubblico che generalmente si dedica a generi più estremi, se si decidesse di continuare per questa strada, cosa di cui mi auguro.

Tracklist:
01 Joyless Trance of Winter
02 Carrier of the Scars of Life
03 Frail Expectations
04 Cold Hand of Retribution
05 Watch You Fall
06 The Architect of My Downfall
07 Drink Away the Demons
08 Point Zero
09 Dry Well of Life
10 The Face of Jealousy

Alex “Engash-Krul” Calvi

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