Recensione: Freedom Rock
Boom! Una deflagrazione con un’onda d’urto di proporzioni indescrivibili: ecco cos’è Freedom Rock, secondo full length degli scandinavi H.E.A.T.
Per chi si fosse perso l’omonimo esordio (immediatamente dietro la lavagna!) del 2008, gli svedesi riprendono la miglior tradizione dell’AOR dei maestri, tra i quali sono ovviamente da enumerare Toto, Journey e Foreigner, ma anche di band meno blasonate quali T.N.T. e Europe (periodo Prisoners In Paradise), ci danno una bella frullata, filtrano la poltiglia che ne risulta per mezzo di un songwrting fresco, dosano sapientemente melodia, cori, tastiere anni ottanta e riff di chitarra irresistibili. Cosa ottengono? Album, già due nella loro brevissima vita iniziata tre anni or sono, da ogni-pezzo-un-anthem.
A questo punto sembra legittima e spontanea una domanda: e l’originalità dove la mettiamo? Per fortuna altrettanto immediata ed altrettanto spontanea arriva la risposta: chi se ne frega.
Ora… è concepibile che il saper scrivere qualcosa di nuovo e non derivativo sia da qualcuno giudicato come merito senza il quale si scade nel già sentito, ma bisognerebbe ricordare a questo qualcuno che forse, e il dubbio qui è regalato, non è più possibile inventare niente in tema di rock melodico nel 2010. Chi ha voglia di godere senza cercare il pelo nell’uovo ha di che divertirsi, per gli altri non resta che dispiacersi.
We’re Gonna Make It To The End dà il benvenuto col suo tema di chitarra ipermelodico, spazzando via qualsiasi dubbio su quanto si andrà ad ascoltare in Freedom Rock; i cori proiettano chiunque ne venga investito negli eighties, e il viaggio nel tempo non ammette ritorno fino all’ultima nota della conclusiva Who Will Stop The Rain. Black Night si avvale di un ospite che non ha certo bisogno di presentazioni: Tobias Sammet dei celebrati Edguy, per tacer degli Avantasia, il quale si muove a suo agio in un pezzo prettamente rock dal ritmo non troppo sostenuto.
I Can’t Look The Other Way è maledettamente irresistibile con le strofe che fanno balzare alla mente il Kenny Loggins ottantiano ed un chorus bastardo che ti si pianta dritto in testa e da lì non esce più. Difficile immaginare qualcosa di più scorrevole, trascinante, immediato e coinvolgente di quanto sin qui ascoltato. Ma niente paura perchè dopo Shelter, l’immancabile ballatona, a fare un lavoro da jab preparativo, arriva il diretto al volto rappresentato dalla strepitosa Beg Beg Beg, il classico pezzo che riesce, perfetto in tutto e per tutto, una volta nella vita. Viene quasi il magone a pensare al recente split con Kenny Leckremo; chiunque ne sarà il sostituto nel prossimo appuntamento in studio dovrà darci dentro alla grande, perchè il paragone si annuncia impietoso.
Raggiunto il climax, il resto della tracklist rischia seriamente di essere solo un di più; ma Freedom Rock non conosce soste e non dà tempo di fermarsi a pensare: finito un pezzo trascinante ne arriva un altro; e allora via con Danger Road e Stay a tener alta la voglia di saltare e buttare a mare ogni pensiero negativo. Il registro cambia leggermente con Everybody Wants To Be Someone, che inizia come semplice ballad e prosegue con un refrain e dei cori che la fanno sembrare un brano mai pubblicato dei Toto.
Quando parte Nobody Loves You (Like I Do) ci si comincia a chiedere seriamente quando sarà possibile tirare un po’ il fiato e smetterla di battere il piede e menar la testa; non c’è un pezzo sotto tono, niente filler né cali d’ispirazione: Freedom Rock è un treno in piena corsa.
I Know What It Takes e Cast Away proseguono sulla strada ipermelodica fin qui intrapresa, sempre con chorus da cantare a perdifiato e incedere energico, mentre High On Love, non presente nella versione giapponese dell’album (sostituita dalle due bonus track Living In A Memory e Tonight), è un breve e dirompente rock’n’roll. A chiudere la tracklist arriva un altro pezzo in pieno Toto-style: la bellissima Who Will Stop The Rain, gran finale per uno dei dischi dell’anno.
Freedom Rock non rappresenta niente di nuovo o innovativo; gli svedesi H.E.A.T hanno semplicemente compiuto un’operazione che ai più non riesce: raccogliere la lezione dei grandi nomi di riferimento di un genere e metterla a frutto, attraverso composizioni fresche, perizia strumentale e una produzione pressochè perfetta. Hanno messo ogni elemento, che si tratti di cori, di assoli di chitarra o di tappeti di tastiera ridondanti quanto basta, al posto giusto e nel modo migliore possibile. Se tutto questo fosse semplice, e sicuramente non lo è, saremmo pieni di dischi al limite della perfezione, dove poter trovare tutto ciò che si cerca da un disco di un determinato genere. Invece magie come questa riescono raramente o quasi mai, mentre spesso, troppo spesso, ci si imbatte in produzioni che magari filano abbastanza bene, ma suonano in modo esagerato come qualcuno che scimmiotta qualcun altro. Gli scandinavi invece risultano vincenti anche per quanto riguarda l’aspetto della personalità, avendo ormai messo a punto uno stile personale e riconoscibile pur, giova ribadirlo, non avendo inventato assolutamente nulla.
Route 66, alla guida di una Cadillac Eldorado del ’59. Cappotta abbassata e vento tra i capelli. Dalle casse deflagra Beg Beg Beg, e cantando a squarciagola l’unico pensiero razionale è: sì, la vita è proprio meravigliosa.
Massimo Ecchili
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Tracklist:
01. We’re Gonna Make It To The End
02. Black Night
03. I Can’t Look The Other Way
04. Shelter
05. Beg Beg Beg
06. Danger Road
07. Stay
08. Everybody Wants To Be Someone
09. Nobody Loves You (Like I Do)
10. I Know What It Takes
11. Cast Away
12. High On Love
13. Who Will Stop The Rain
Line-up:
Kenny Leckremo: vocals
Dave Dalone: guitars
Eric Rivers: guitars
Jona Tee: keyboards
Jimmy Jay: bass guitars
Crash: drums, percussion
Special guest:
Tobias Sammet (in Black Night)